È il sogno di chi ama la vacanza all'insegna del comfort: comprarsi la stanza in un bell'hotel (magari con qualche stella) per godere servizi e location e snobbare, almeno sulla carta, tutti i costi e gli inconvenienti di una seconda casa. Un sogno che all'estero (la culla del fenomeno è la Florida con 50.000 condo hotel) è da tempo diventato una realtà ben collaudata. Ma che in Italia stenta ancora a essere accettata dalle istituzioni, diffidenti come sempre di fronte a ogni novità.
Eppure il settore preme. Come dice il senatore e presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca: «Mi auguro che il provvedimento possa essere incluso già nel decreto sblocca-Italia ». Già, perché le regole sono necessarie per evitare di essere incastrati in cavillose e sterili questioni che coinvolgono provincie, comuni, Asl, carabinieri. E la questione era quasi stata risolta dal legislatore. Il Senato aveva approvato un emendamento contenuto nel Decreto competitività che centrava l'obiettivo perché concedeva facilitazioni alle procedure di apertura, in particolare nei piccoli centri urbani, dei «condo hotel», cioè «di esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto». Ma la mezza vittoria ottenuta dagli albergatori si è trasformata in una sconfitta il primo agosto quando lo stesso governo ha stralciato l'emendamento dal Decreto competitività presentato alla Camera.
A questo punto si spera che il testo uscito dalla porta rientri dalla finestra a fine agosto nel decreto salva-Italia. Già perché, come spiega il senatore Bocca, «è un provvedimento che non costa nulla e che permette al settore alberghiero di autofinanziarsi».
Del resto, che sia un'idea fattibile è dimostrato dall'esperienza di mezzo mondo. È già applicata nel resto d'Europa e negli Usa con successo e permette alle imprese alberghiere di reperire le risorse per investire e migliorare le proprie strutture. Funziona così: il proprietario di un albergo già esistente può venderne una parte, diviso per unità immobiliari dotate di cucina, autonome e indipendenti. Chi compra la stanza arredata la può usarla in via esclusiva oppure anche affidarla al gestore per poi ottenerne parte del ricavo (il 50% circa). La differenza con le fallimentari multiproprietà è evidente: l'albergo è obbligato a ottenere il cambio di destinazione da alberghiera a unità abitativa e, se la gestione dell'albergo fallisce, il privato rimane proprietario della sua stanza attrezzata.
Poi c'è il tornaconto dell'albergo da non trascurare. «Sarebbe una boccata di ossigeno - spiega Bocca - perché attraverso la vendita di queste unità si riuscirebbe a trovare risorse da utilizzare nell'albergo stesso. Attualmente abbiamo sugli hotel una tassazione vicina all'80% - aggiunge il presidente di Federalberghi - un imprenditore non ce la fa più da solo e non può sperare in aiuti dallo Stato o dalle banche. Solo con la formula del condo hotel può reperire risorse all'interno della propria struttura». Dunque l'idea sembra buona ed è a costo zero.
E allora perché questo dietrofront in Parlamento? «È stata una proposta bipartisan, -conclude Bocca- che piaceva a destra e a sinistra, ma poi è stata ritirata dall'esecutivo che prima l'aveva appoggiata. Mah, temo ci sia stata una grande confusione e mi auguro che il governo ci ripensi...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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