Roma - Si è goduto i commenti praticamente unanimi di giornali e tv, che lo incoronavano vincitore indiscusso del referendum No triv, con il vasto fronte anti governo (incluso un pezzo significativo di Pd, Michele Emiliano in testa) sbaragliato dall'affluenza ferma al 31%. «Il popolo italiano ha parlato, ed è finita 70 a 30», rivendica. Ma Matteo Renzi sa che si trattava solo del primo round di una lunga partita, che culminerà in autunno nel referendum costituzionale, e durante la quale i suoi avversari interni ed esterni le proveranno tutte per disarcionarlo.
Tant'è che Emiliano non si arrende, sostiene di aver «stravinto» nonostante la batosta e si ripropone come antagonista del premier annunciandogli che «d'ora in poi le decisioni andranno prese in modo diverso», in nome di «quel popolo Pd che ha votato». Renzi gli replica secco: «I governatori pensino a tener pulito il mare, cosa che spetta loro». Sulle amministrative Renzi mette le mani avanti e ne circoscrive la portata politica: «Chi va a votare lo fa per scegliere il sindaco, non per dare un giudizio sull'operato del governo». Oggi il premier sarà di nuovo in Senato a fronteggiare una nuova mozione di sfiducia, presentata da tutte le opposizioni. «Siamo affezionati alle mozioni di sfiducia, ce ne fanno una ogni quindici giorni», ironizza lui. La conta non preoccupa per nulla: i numeri non sono in discussione, il Pd voterà compatto e il fronte pro-sfiducia, a ranghi pieni, conta su meno di 130 voti. Anche il contestatissimo apporto dei senatori di Denis Verdini sarà del tutto aggiuntivo. Renzi sarà comunque a Palazzo Madama per replicare alle contestazioni, col piglio di chi ha appena vinto una mano importante contro la stessa «Santa Alleanza» che si coagulerà domani in Senato. E che si sta organizzando anche in vista del referendum costituzionale di ottobre: ieri infatti le opposizioni (da Brunetta a Sel, dai grillini ai leghisti fino a Civati) ha annunciato la raccolta di firme tra i parlamentari per indirlo. Mossa a sorpresa che il governo incassa senza apparenti turbamenti. Anzi, David Ermini, responsabile giustizia del Pd, lo definisce «un vero spettacolo». E spiega: «Se si mettono tutti insieme contro le riforme, da Fratelli d'Italia a Sel passando per Grillo, ci fanno un regalo inaspettato. Evidentemente non hanno capito il messaggio arrivato ieri dalle urne: gli elettori hanno detto no alle Armate Brancaleone, che funzionano nei film ma non in politica». Senza contare che stavolta, ragionano dalle parti di Palazzo Chigi, per la «armata Brancaleone» gli argomenti sono assai meno efficaci: «Se con armi suggestive come i perfidi petrolieri, il mare e le cozze da difendere, le intercettazioni, gli avvisi di garanzia a urne aperte e pure gli appelli dei vescovi ambientalisti sono arrivati al 30%, voglio vedere quando dovranno argomentare il no all'abolizione del Senato, alla fine del bicameralismo perfetto e alla diminuzione dei parlamentari», ragiona un renziano di rango. Anche per gli anti-renziani del Pd sarà dura schierarsi contro la riforma: tant'è che Enrico Letta già annuncia il suo sì ad una riforma «non perfetta ma sicuramente meglio dello status quo». Renzi immagina una vittoria piena: «Più del 50% di partecipazione, e 60% dei sì», scommette con i suoi.
E lancia il guanto di sfida a chi domenica ha perso il referendum ma resta al suo posto: «Il referendum di ottobre non sarà sul governo ma su una Costituzione più semplice. Ma io, a differenza di altri, se perdo lo dico e me ne vado».
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