Condanna a morte farsa per il figlio di Gheddafi

Saif al Islam è accusato di genocidio, ma dietro al processo un governo privo di legittimità internazionale. E il Pd tace

Saif al Islam Gheddafi può dormire sonni tranquilli. Per ora nessuno violerà la sua condizione di prigioniero di riguardo. Nessuno verrà a svegliarlo all'alba per trascinarlo davanti ad un plotone di esecuzione.

Nessuno lo consegnerà al boia. E non soltanto perché la condanna a morte emessa nei suoi confronti da un tribunale di Tripoli è una sentenza farsa, ma soprattutto perché il figlio prediletto del defunto Colonnello è al sicuro tra le mura di Zintan. In quella città fortezza arroccata tra montagne e dirupi - 160 chilometri a sud della capitale - le sentenze di Fajr Libia, le milizie islamiste padrone di Tripoli, valgono quanto un soldo bucato. Lì l'unica legge è quella delle tribù guerriere del massiccio di Nafousa. Lì l'unico sentimento ammesso è l'ostilità per Tripoli ed i suoi alleati.

Saif Islam è, dunque, un prigioniero fortunato. Le stesse milizie che lo rincorsero fino agli estremi confini meridionali e gli tagliarono tre dita in segno di scherno sono oggi i suoi angeli custodi. Non a caso hanno stretto un'alleanza di ferro con quel legittimo governo libico costretto, nell'agosto 2014, all'esilio a Tobruk. Non a caso sono i migliori alleati di quel generale Khalifa Haftar che giura di voler buttare a mare i Fratelli Musulmani e tutti i gruppi jihadisti.

Ma se Saif può tranquillamente farsene un baffo, gli ex fedelissimi di suo padre che non hanno potuto ascoltare la sentenza in contumacia hanno di che preoccuparsi. L'ex capo dei servizi segreti Abdullah al-Senussi, l'ex premier Al-Mahmoudi al-Baghdadi, il capo dell'intelligence estera Buzeid Dorda - e tutti gli altri ex gheddafiani condannati per aver coordinato la repressione delle manifestazioni anti regime - rischiano di venir fucilati sulla base di prove inesistenti e di giudizi sommari. E al pari del defunto Colonnello potrebbero ritrovarsi protagonisti di esecuzioni illegali e sommarie. Ma a preoccupare, a margine di in questa ennesima tragicommedia libica, sono anche i silenzi della rappresentante europea Federica Mogherini, del governo Renzi, del Pd e dei tanti esponenti di una sinistra prontissima in altre occasioni a trasformare la lotta alla pena di morte nella propria bandiera.

Mentre l'Alto Commissariato per i diritti Umani dell'Onu definisce «profondamente preoccupanti» le condanne, mentre il Consiglio d'Europa ricorda che processo e sentenza spettavano soltanto al Tribunale dell'Aia, mentre «Amnesty International» e «Nessuno Tocchi Caino» si dicono indignati, il nostro governo e la nostra sinistra rispondono con un silenzio cieco ed indifferente. Un silenzio sconcertante.

Dietro quei processi barzelletta non c'è infatti solo la mano di un governo privo di legittimità internazionale. Dietro quei processi ci sono la stessa ideologia, lo stesso cinico fanatismo di una coalizione islamista che garantisce totale impunità ai trafficanti di uomini e prospera grazie alle laute percentuali incassate per favorire l'arrivo di centinaia di migliaia di umani sulle nostre coste.

Proprio per questo una parolina di condanna da parte di un governo che punta ad avere un ruolo in Libia e si prepara a guidare la missione europea contro i trafficanti di uomini sarebbe non solo utile, ma politicamente e umanamente indispensabile. Se non altro perché fu la fondazione di Saif Islam a garantire l'uscita di galera dei fanatici decisi oggi ad avere la sua testa.

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