La condizione a Di Maio: sedersi al tavolo con il Cav

Il piano di Letta è indurre il leader M5s a trattare con Berlusconi: "Altrimenti pensa solo alla Lega"

La condizione a Di Maio: sedersi al tavolo con il Cav

Passeggiando per il Transatlantico di Montecitorio, Roberto Occhiuto, uno dei giovani rampanti di Forza Italia, offre la sua interpretazione della fase Zen del Cav. «Berlusconi - osserva - è quantomai concavo. Addirittura se si va verso un governo 5stelle-Lega a noi convien entrarci dentro. Quale appoggio esterno! Dobbiamo entrarci perché altrimenti quelli cambiano la legge elettorale e vanno ad elezioni subito. Poi, partito il governo, se loro ad un certo punto vorranno interromperlo, ci sarà tempo per far maturare delle contraddizioni al loro interno. Magari si staccheranno 50 grillini dal gruppo parlamentare per evitare le elezioni. O potrebbe entrare in gioco il Pd. Quale premier? Se non si metteranno d'accordo Salvini e Di Maio, c'è Giorgetti». Seduto su un divano Raffaele Volpi, il leghista che ha disegnato per Matteo Salvini la Lega nel Sud, illustra una sua lettura del possibile connubio con i grillini. «Noi - spiega - qualcosa dobbiamo farla subito. Non possiamo aspettare che nasca un Macron italiano o un partito che raccolga il centro, la destra e la sinistra nel nome di Calenda. Abbiamo il dovere di provarci. Poi non so se con Salvini o con Di Maio: in ogni caso c'è sempre Giorgetti!». L'ultimo punto di vista nel centrodestra su quello strano oggetto che è il «rapporto» con Di Maio, è di Guido Crosetto, che arriva alla Camera mezzo infuriato e racconta lo stato d'animo di Giorgia Meloni e amici. «Ho mandato - racconta - un messaggio a Berlusconi dopo aver letto della sua apertura ai grillini. Ti tolgo il saluto - c'è scritto - per sempre!. Ne ha dette di tutti i colori contro di loro in campagna elettorale e poi fa l'accordo?! Per non parlare di grillini e leghisti che per tutta la legislatura hanno denunciato l'inciucio e ora fanno l'inciucione. Se Forza Italia vuole gli dia l'appoggio esterno, visto che dentro non li vogliono, ma noi restiamo fuori».

Interpretazioni nel centrodestra, varie e variegate, su quello strano oggetto che è il governo che sarà. In realtà la questione è molto più semplice almeno dalle parti del Cav: lui vuole solo una cosa, non andare a votare ad ottobre, e per raggiungere questo obiettivo è pronto a fare la qualsiasi. È concavo e pronto a tutto, anche al governo con i grillini, financo ad incatenarsi a Palazzo Madama o a Montecitorio. Avviluppare, smussare, sono i due verbi che in questo momento predilige. L'importante è evitare le urne. «La bolla populista - è il perno del suo ragionamento - si deve sgonfiare. E ci vuole del tempo. Né si può dare l'idea che giochiamo tutti contro i grillini. Vanno messi alla prova». Un solo obiettivo, magari limitato, ma chiaro, che condivide con il Quirinale, tant'è che da quelle parti sono pronti ad allungare i tempi della crisi all'inverosimile per evitare le elezioni anticipate. A cui se ne aggiunge un secondo che è, comunque, direttamente collegato al primo: metter alla prova i grillini, scoprirne le contraddizioni e le vere intenzioni, e, contemporaneamente, tenere ben acceso l'altro forno, quello del Pd. La proposta di un vertice di tutti i partiti per dare un taglio istituzionale alla scelta dei vertici di Camera e Senato, è nata all'uopo. Più allarghi il consenso, più neutralizzi le spinte e le controspinte presenti in questo strano Parlamento.

L'operazione partita ieri dal vertice del centrodestra, serve, appunto, a scoprire i grillini e a far rientrare il Pd dalla finestra. Suggerita da Gianni Letta prima del vertice, il Cav nella riunione l'ha fatta sua. Ed è la risposta ad un discorso fatto nei giorni scorsi da Salvini con alcuni messaggeri di Forza Italia per spiegare il suo ruolo di esploratore del centro-destra: «Di Maio non vuole avere a che fare con Berlusconi». Tant'è che non è stata accolta con entusiasmo dal leader della Lega: «A che serve questo vertice con tutti?». Ma alla fine è passata, perché una sua filosofia ce l'ha, eccome: Di Maio, come premessa per un'intesa, deve accettare di sedersi al tavolo con il tanto vituperato Berlusconi. Il leader grillino se rifiutasse l'invito, dimostrerebbe che non ha in mente un'intesa con l'intero centrodestra, ma solo con la Lega. E il suo rifiuto a partecipare al tavolo con Berlusconi, metterebbe Salvini con le spalle al muro: se vuole davvero essere il leader dell'intero centrodestra, infatti, non potrebbe non tenerne conto. Tant'è che ieri al vertice su un'ipotesi del genere ha tagliato corto: «Se Di Maio si rifiutasse, noi andremmo avanti lo stesso». In quel caso, però, la dinamica delle presidenze prenderebbe tutt'altra piega. «Addirittura - corre in avanti uno dei colonnelli di Forza Italia - potrebbe essere rimessa in discussione l'ipotesi della presidenza della Camera ai grillini». «Mi sa tanto - è l'impressione di Ignazio La Russa, uomo ombra della Meloni, presente al vertice di ieri - che le aperture ai grillini servono al Cav, soprattutto, a scoprire il gioco di Di Maio e a stanare Salvini». Già, Berlusconi è pronto a tutto (anche a dare molto), ma Di Maio deve accettare di sedersi al tavolo con l'uomo che Travaglio, il maître à penser del grillismo nostrano, chiama «il pregiudicato». Insomma, è la prima prova, il primo ostacolo, la prima verifica che il Cav pone sulla strada dell'intesa. Di Maio per arrivare ad un accordo che può aprire la strada ad un governo 5stelle-centrodestra deve far venire un coccolone a Travaglio, e al consigliere Domenico De Masi («Di Maio farebbe una grande cazzata ad andare al governo»)

Di fatto, accettare quella che per quel mondo è una provocazione, un po' come la scena di anni fa in cui il Cav pulì con il fazzoletto, prima di sedersi, lo sgabello dove si era seduto Travaglio nello studio di Michele Santoro. «Ma necessaria - chiosa Gianni Letta -, perché ad essere troppo prudenti si rischia di essere arrendevoli». Ma andiamo avanti. Se il candidato grillino si siederà al tavolo con il Cav, sulla presidenze delle Camere si sentirà fare gli stessi nomi che Berlusconi ha fatto nel vertice del centrodestra: «Per il Senato c'è Paolo Romani. E magari anche due donne come la Bernini e la Casellati. E siamo pronti ad accettare un grillino alla Camera». E qui per Di Maio, c'è la seconda prova. Romani per Forza Italia non è una candidatura di bandiera. Anzi. Se Di Maio non si siederà a quel tavolo la candidatura del capogruppo dei senatori di Forza Italia, andrà avanti, fino in fondo. Con uno sguardo verso il Pd, che non è indifferente. Dicono che addirittura Napolitano stia facendo la campagna per Romani, mentre Marcucci, probabile prossimo capogruppo dei senatori del Pd, dispensa al candidato di Forza Italia questo consiglio: «Per riuscire deve andare fino in fondo. Non ritirare la sua candidatura prima del ballottaggio. E dare garanzie a tutti. Se noi lanceremo la candidatura della Bonino? Non penso». Solo nel caso che Di Maio sieda a quel tavolo con il Cav, potrebbe scendere in campo l'altra candidatura, quella della Bernini che non è un caso che piaccia di più ai grillini («io la voterei» ammette la senatrice Montevecchi) e, proprio per questo, è più congeniale ai piani di Salvini. Ma non è detto, anche perché è difficile che il Cav accetti la logica che siano i grillini a fare le analisi del sangue ai candidati di Forza Italia. Per cui ora il cerino acceso è nelle mani di Di Maio. E Salvini? Ha vinto le elezioni, ma senza l'intero centro-destra sarebbe solo terzo nella scala dei valori di questo Parlamento. Per cui deve tenere conto di Forza Italia e del Cav.

«E anche sull'ipotesi di un bipolarismo tra lui e Di Maio, magari favorito da una nuova legge elettorale - ha confidato Berlusconi ai suoi - dovrebbe essere più cauto: se non si allarga l'area moderata, perde». Ma qui si parla del futuro prossimo, il presente, invece, potrebbero ricordarcelo i «mercati» la prossima settimana. Se il famigerato «spread» comincerà a ballare sarà un monito per tutti.

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