Da giorni le opposizioni ironizzavano sulla misteriosa scomparsa dai radar del premier Giuseppe Conte, le cui ultime apparizioni pubbliche risalivano ai giorni del vertice Ue e dei suoi risultati assai scarni per l'Italia e il suo governo, nonostante i toni da Rodomonte che erano stati usati.
Così, ieri il presidente del Consiglio ha deciso di battere un colpo per segnalare la propria esistenza, con una lunga intervista alla Stampa. Per una coincidenza non proprio fortunata, l'intervista (nella quale si dilunga su come nel governo vada tutto bene e si fili d'amore e d'accordo sotto la sua guida) è uscita in un momento di massima confusione, con i ministri che si davano sulla voce e si smentivano a vicenda sulla gestione di navi, porti e migranti e con l'unico provvedimento approvato dal governo, il cosiddetto decreto Dignità, che ancora non è stato pubblicato in Gazzetta, né è arrivato in Parlamento: sul testo Lega e M5s litigano, e sulle coperture c'è ancora incertezza. Per non parlare dell'assetto stesso del governo: i 45 sottosegretari nominati nei vari ministeri sono ancora senza deleghe, su cui non c'è accordo, e quindi non operativi.
Ma va tutto bene, assicura l'ottimista Conte alla Stampa. L'intervista, un po' legnosa, ha il classico sapore dei colloqui a risposta scritta, limati fin nelle virgole dagli uffici stampa. Un esercizio di equilibrismo per smorzare le tensioni interne alla sua maggioranza e tenere insieme i diversi appetiti e interessi dei suoi azionisti. E, al tempo stesso, per mandare messaggi rassicuranti che allentino le preoccupazioni interne e internazionali per i conti italiani e lo stress cui rischiano di essere sottoposti se Lega e Cinque Stelle insisteranno sulle loro bandiere propagandistiche come reddito di cittadinanza e flat tax.
«Il nostro sistema socio-economico ha bisogno di entrambe le riforme», assicura il premier. La prima non è, giura, «una misura assistenzialistica, ma una vera e propria manovra economica per recuperare persone esiliate dal circuito lavorativo». La seconda è «una iniziativa di larga portata che condurrà alla semplificazione della normativa fiscale». Sul quando e come si faranno resta sul vago: «speditamente» e insieme, ma per il momento siamo fermi ai «tavoli tecnici» che Conte dice di aver costituito su ambo i fronti. Ci sarebbe poi l'abolizione della riforma Fornero, che Salvini e grillini avevano promesso: qui la vaghezza di Conte diventa addirittura impalpabile, e in pratica il premier fa capire che non si farà mai: «I problemi dell'Inps si possono risolvere solo riportando a lavorare circa sei milioni di disoccupati», nientemeno. Ma in ogni caso, dice il capo del governo, «il programma verrà realizzato gradualmente e senza mettere in discussione la tenuta dei conti pubblici». La frenata, dietro ai toni felpati, è decisa e sembra indirettamente rispondere ai molteplici allarmi che ieri, da Visco a Patuelli, sono stati lanciati sulla «vulnerabilità» dell'economia italiana. Poi c'è il (tuttora misterioso) decreto Dignità: Conte deve di nuovo rassicurare le imprese che lo hanno sonoramente bocciato, promettendo futuri sgravi sul cuneo fiscale e «semplificazione burocratica».
Il decreto, ha promesso il governo, arriverà alla Camera il 24 luglio: approvarlo prima che il 7 settembre scada sarà una corsa contro il tempo. E la fiducia (che però impedirebbe alla sinistra del Pd e a Leu di appoggiarlo, come vorrebbero) è sempre più probabile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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