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Conte blocca le aperture a Fi per battere "l'asse del male"

La strana alleanza Di Maio-Bettini-Renzi è l'incubo del premier: puntano a sostituirmi dopo la manovra

Conte blocca le aperture a Fi per battere "l'asse del male"

È servita mezza giornata di intenso pressing sui Cinque stelle e su Conte da parte del Pd per ottenere, nel pomeriggio, l'imbarazzata nota con cui il ministro grillino Patuanelli si è assunto la paternità del famoso emendamento pro-Mediaset.

«È una norma di origine governativa, lavorata da me personalmente con il ministero dell'Economia. Non è una norma ad azienda o per fare un dispetto ad un'azienda francese ma semplicemente una presa d'atto di una sentenza europea che porta ad avere un vuoto normativo da colmare», scrive il ministro dello Sviluppo economico nel claudicante italiano tipico dei grillini.

Tra i giallorossi i nervi sono a fior di pelle, e siccome negli ultimi giorni i pentastellati e i loro organi di partito (vedi il Fatto Quotidiano) hanno cercato di addossare ai Dem la colpa dell'«inciucio» con l'odiato Cavaliere e della norma che tutelerebbe Mediaset da scalate estere, il Pd ha reagito. Ricordando a Palazzo Chigi e agli alleati che sono stati loro a volerla, come captatio benevolentiae verso Fi, il cui aiuto in Senato «ci serve come il pane», come spiegano a Palazzo Madama. Tanto più che il governo già domani porterà in Consiglio dei ministri una richiesta di nuovo scostamento di bilancio da 7 miliardi, e che per farlo passare serve la maggioranza assoluta delle Camere. Il rischio di una rivolta tra i pentastellati sull'emendamento Mediaset (inserito nel decreto Covid), con conseguente spaccatura in aula, ieri ha messo in allarme i vertici Pd e lo stesso governo.

Ma, emendamento a parte, l'ostruzionismo sordo di Palazzo Chigi al dialogo con Forza Italia «sta bloccando tutto», come dicono dal Pd. L'ipotesi di una commissione bicamerale per coinvolgere le opposizioni sul Recovery Plan è stata osteggiata sottobanco dal presidente grillino della Camera, Fico, e dal ministro D'Incà, braccio armato di Conte nei rapporti con il Parlamento. Il timore del premier è che, dopo il voto della manovra, parta un'operazione di allargamento della maggioranza che non solo rafforzerebbe il peso del Pd nella maggioranza, consentendogli di arginare la superiorità numerica dei Cinque stelle, ma che aprirebbe la strada al famoso rimpasto. Che negli incubi contiani è il cavallo di Troia per arrivare alla sua sostituzione, obiettivo di un «asse del male» che secondo Palazzo Chigi vede uniti Renzi, Bettini e Di Maio. Dicono che nelle ultime settimane il premier abbia iniziato a diffidare anche del segretario dem Zingaretti, sospettato di accarezzare il sogno di approdare a Palazzo Chigi.

La diffidenza contiana è largamente ricambiata dal Pd, sempre più insofferente verso l'immobilismo di un premier «che ha come unica priorità quella di restare in sella», come accusano i dem. «Attenti, che a mettervi contro di me vi mettete contro il Quirinale», si sono sentiti dire dal premier autorevoli esponenti del Pd nelle scorse settimane.

Ma in casa dem si getta qualche dubbio su questo assunto: «A noi in verità risulta che anche al Colle ci sia crescente preoccupazione per i ritardi, le lentezze e gli errori del governo nella gestione della pandemia, per l'ottusa ostinazione con cui si rifiuta di discutere del Mes e anche per come vengono fatti cadere nel vuoto i continui appelli di Mattarella al dialogo», spiega un dirigente.

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