Conte ci spaventa con la terza ondata. Fronda Pd e Idv: i risultati sono zero

Passerella tv del premier per difendersi sul caso della scorta e per elogiare il suo governo. Si blinda per altri 50 giorni ma gli alleati sbottano: Dpcm incomprensibile, c'è paralisi su tutto

Conte ci spaventa con la terza ondata. Fronda Pd e Idv: i risultati sono zero

Nel giorno in cui si registra il picco di quasi mille morti, il premier Conte si presenta in tv con una scala di priorità ben precise.

Primo, difendersi dalle Iene sull'uso della scorta e le cene al ristorante. Secondo, assicurare che il suo governo non «galleggia», non è in ritardo su nulla ma anzi va fortissimo, «sta ottenendo grandi risultati» e quindi non serve alcun rimpasto («Parola che mi fa rabbrividire»). Del resto, giura, «i miei ministri sono i migliori» (quale sia il termine di paragone non è chiaro). Terzo, promettere mirabilie sul Recovery Fund a partire da lunedì, quando un «consiglio dei ministri straordinario» varerà la governance della sua gestione: «Siamo in dirittura d'arrivo». Poi, ovviamente, c'è il dpcm di Natale che deve evitarci la «terza ondata» evocata da Conte, al centro per tutto il giorno di un durissimo braccio di ferro. Già, perché nella giornata clou, in cui Conte attendeva ansioso di esibirsi a reti unificate per il sermone natalizio con cui inaugurare i suoi 50 giorni blindati dallo stato di emergenza (il decreto prevede la proroga fino a gennaio inoltrato dei provvedimenti finora emessi), nella maggioranza scoppia una sorta di sabba attorno a Palazzo Chigi.

Sulle norme per regolare le feste degli italiani va in onda per 24 ore, nella coalizione e nel governo, uno scontro violento tra linea della fermezza e linea della trattativa. Tra chi vuol ammorbidire i divieti più indigeribili (come quello di spostarsi tra comuni anche adiacenti) e chi vede dietro ogni compromesso un cedimento al virus. Alla fine il governo si trincera dietro ai morti, che ieri offrivano un fortunato appiglio: «Con 993 morti in un giorno è impensabile allentare».

Tutti contro tutti su tutto, siluri che partono da ogni lato, botte da orbi sul dpcm ma anche sul Mes ma anche sul fisco ma anche sulle riforme istituzionali arenate da quel di' che, improvvidamente, il Pd ebbe la brillante idea di dar via libera al taglio grillino dei parlamentari.

Un caos totale, con i partiti della coalizione che oltre a scontrarsi tra loro si spaccano al proprio interno: i Cinque Stelle continuano a perdere pezzi, divisi in mille rivoli e senza linea sul Mes. Il Pd è attraversato da una faglia profonda nei gruppi parlamentari, con molte decine di senatori e deputati che scrivono ai capigruppo Marcucci e Delrio invitandoli a premere su Conte per cambiare le parti più vessatorie del nuovo decreto, ripristinando nel testo «i principi di ragionevolezza ed equità», come si legge nell'appello sottoscritto da 25 senatori e 30 deputati. Intanto il segretario Nicola Zingaretti è costretto ad acrobazie politiche. Da un lato cerca di supportare il governo lanciando drammatici appelli a «chi non capisce» (sottinteso i frondisti dem) perchè «riflettano» sulle migliaia di morti e comprendano che «il nemico è il virus, non le regole». Dall'altra, però, Zingaretti va all'attacco del premier, denunciando il fallimento del «tavolo per le riforme» e chiamando in causa Conte perché si decida a rimetterlo in moto, come si era impegnato a fare: «La palla sta a lui». Con una mano chiama a raccolta i sindaci Pd e li schiera a sostegno della linea dura e dell'intangibilità del dpcm per «rimettere in riga i senatori», con l'altra avverte Conte che deve piantarla di nascondere la testa sotto la sabbia: se vuole avere ancora una maggioranza, è ora di sporcarsi le mani per farla funzionare. «Finora siamo stati pazienti - avvertono i capigruppo dem - ma i nodi vanno sciolti, e la responsabilità è di Conte». Un ultimatum in piena regola. Il premier risponde, al solito, con vaghezza fumosa: «Sono convinto che sapremo trovare la sintesi giusta».

I renziani di Italia viva sottolineano la paralisi fuori controllo della maggioranza: «Non c'è accordo sulle riforme istituzionali, non c'è sul Mes e nemmeno sul fisco. Stiamo perdendo tempo senza arrivare ad alcun risultato». Quanto al dpcm di Natale, la ministra Teresa Bellanova è lapidaria: «Queste misure mi sembrano incomprensibili, ci vuole più buon senso. Spetta al presidente del Consiglio fare la sintesi, ma il suo è un ascolto finto se si guarda non alla qualità della proposta ma al peso numerico del partito proponente».

Intanto, sul fronte Mes, si cerca disperatamente di trovare un compromesso che il 9 dicembre eviti l'implosione dei grillini e non costringa il Pd a prostrarsi per l'ennesima volta alle bizze degli alleati. I cinquanta giorni blindati di Conte non saranno una passeggiata di salute.

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