Trovato l'inghippo per uscire dall'impasse e mettere d'accordo il Pd e i Cinque Stelle sulla prescrizione (nonostante l'opposizione di Renzi), il premier Conte si fa prendere dall'entusiasmo.
E subito inciampa in un tweet imbarazzante: «Non chiedetemi se sono garantista o se sono giustizialista. Queste contrapposizioni manichee vanno bene per i titoli dei giornali. Ai cittadini non interessano le formule astratte, gli schieramenti pregiudiziali. Ai cittadini interessa che il sistema giustizia offra un servizio efficiente». Sull'«avvocato del popolo» piomba subito un diluvio di critiche e di sberleffi per l'equiparazione di un valore costituzionale come il garantismo con il culto delle manette.
Nel Pd sono in molti a mettersi le mani nei capelli: «Ma come gli viene in mente di uscirsene così?». E qualcuno viene allo scoperto e critica direttamente il premier: «Non chiedetegli se sia garantista o giustizialista, sono contrapposizioni manichee, - attacca Matteo Orfini - non chiedetegli se sia di destra o di sinistra, perché sono categorie superate. Chiedetegli solo se pensa di essere furbo. O se pensa che siamo fessi noi». Anche il capogruppo al Senato Andrea Marcucci è duro: «A differenza del premier io non ho timori a dichiararmi fieramente garantista, perché esserlo significa salvaguardare i diritti dei cittadini e le loro libertà inviolabili».
E Tommaso Nannicini punzecchia indirettamente anche il segretario dem che ha definito Conte un «punto di riferimento» per i progressisti: «Chiedetemi se sono garantista e vi risponderò di sì, perché i cittadini sono più deboli senza garanzie. È la risposta dei progressisti da che mondo è mondo». Accortosi di aver decisamente sbagliato mira, Conte cerca di spiegare che è stato «male interpretato». Ma la polemica via social tra esponenti Pd e premier fa capire che anche in casa dem molti digeriscono a fatica i compromessi al ribasso con i grillini su un terreno delicato come la giustizia.
Il sottosegretario Salvatore Margiotta, commentando il confronto tv tra il presidente delle Camere penali e il capo dell'ala radical della magistratura (uscito assai malconcio dal match) sospira: «Spero che il mio partito stia dalla parte di Caiazza e non da quella di Davigo. Ma inizio ad essere preoccupato».
E da fuori Matteo Renzi mette sale sulle ferite: «Sulla prescrizione il Pd cede al populismo grillino, ma noi non ci stiamo. Se qualcuno per mantenere una poltrona è disponibile a diventare socio della Casaleggio faccia pure, noi no». E Maria Elena Boschi, reduce dal vertice, spiega che il «lodo Conte» è «una toppa peggiore del buco». L'avvocatura italiana condivide, e chiede a Italia viva di mantenere la propria opposizione.
Il Pd è furioso con la fronda renziana: «Renzi decida, o di qua o di là», dice Nicola Zingaretti alla direzione del partito. Di «qua» c'è il Pd, «unico pilastro contro l'onda delle destre in Italia». Di là «c'è Salvini». Sulla prescrizione, rivendica il segretario, «abbiamo fatto un enorme e decisivo passo avanti. Noi siamo sicuramente centrali. Il M5s rischia una disgregazione, Italia Viva continua nella sua corsa solitaria e enfatizza i conflitti anche quando - ammette - le sue ragioni possono avere un fondamento». La battaglia tra Dem e renziani dilaga, tra dichiarazioni e social. E l'accusa ripetuta contro l'ex premier è la stessa: altro che garantismo, vuol far saltare il governo Pd-M5s. «Sostenere che non ci siano stati passi avanti è inutile oltre che falso.
A meno che l'obiettivo non sia far cadere il governo», dice Anna Ascani, già renziana di ferro ora zingarettiana. Mentre da fuori Pierferdinando Casini cerca di blandire il leader di Iv: «Renzi ha ottenuto sulla prescrizione un risultato tutt'altro che insignificante. Non trascurerei di valorizzarlo».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.