La realtà è arrivata addosso a Conte tutta insieme, all'improvviso: il baratro del Pil, i numeri da incubo del Def, il rischio di dirompenti tensioni sociali paventato dai report che gli arrivano sul tavolo. La pressione crescente delle aziende, e anche quella degli alleati di governo. Italia viva di Renzi, certo, che già da settimane incalza perché il governo si prepari ad un piano di uscita dalla paralisi: «Se non si riapre il Paese si schianta». Ma per la prima volta anche il Pd, uscito dal letargo, preme perché il governo dia finalmente segni di vita e si prenda qualche responsabilità.
Ecco perché di colpo, dopo aver rimandato ogni decisione passando da uno show su Facebook ad un altro, da un dpcm per chiudere tutti in casa ad un altro, il premier - che ieri ha visto Mattarella per fare il punto sul Consiglio Ue - decide improvvisamente di accelerare. La paura è tanta: «Il lockdown non si può protrarre, dobbiamo riprendere le attività», si son sentiti dire i capi sindacali e le rappresentanze confindustriali ieri pomeriggio, al vertice con le parti sociali convocato dopo una girandola di incontri del premier con ministri, task force e comitati di esperti. Dal 4 maggio, e ancora prima, dal 27, per chi - sua sponte - si è già messo avanti con le misure di sicurezza, si deve «riprendere le attività». Quindi «manifattura, costruzioni, servizi alle persone e alcune attività commerciali potrebbero riaprire, nel rispetto della sicurezza». Conte si trova però davanti la resistenza sindacale: partire il 27? «Impercorribile», bisogna riavviare con «buon senso» e verificando la «sicurezza». Del resto, dicono Cgil, Cisl e Uil, «il governo ha comunicato di non aver assunto alcuna decisione».
Di buon mattino, il gruppo di esperti guidato da Vittorio Colao aveva illustrato e consegnato al presidente del Consiglio il proprio schema per la «fase 2», che il premier ha diligentemente riportato alle parti sociali. Ammettendo che non si tratta di un piano dettagliato: «Non c'è un menù bello e sistemato, c'è ancora tanto da lavorare». Ma l'urgenza drammatica, che trapelava dalle parole di Conte, è quella di tentare subito di riavviare il motore di un paese in panne. «Attendere oltre - ammette il premier - avrebbe costi economici e sociali insostenibili». Certo bisognerà «tenere sotto controllo la curva dei contagi», evitare che risalga oltre una certa soglia e «predisporre meccanismi predeterminati» per stringere di nuovo la morsa del blocco nelle aree in cui si verifichi. Su questo i ministri si sono anche divisi, tra chi voleva criteri più rigidi e automatici per nuovi lockdown e chi immaginava meccanismi più elastici. Si vedrà: l'urgenza, ora, è quella di provare a rimettere in moto il motore. Mettendo comunque le mani avanti, visto che a sera il premier - davanti alle resistenze di alcune parti sindacali - sente la necessità di diramare una nota di Palazzo Chigi per spiegare che le idee esposte alle parti sociali erano della task force e non sue, e che le misure del lockdown possono essere «allentate ma non stravolte».
Da Forza Italia arriva la bocciatura di Silvio Berlusconi: «Decisioni tardive e confuse», mentre sarebbe urgente «una grande semplificazione burocratica e fiscale per la ripartenza», e l'introduzione di misure straordinarie, dai voucher ad un «piano Marshall» per i settori più colpiti dalla crisi. «Manterremo un atteggiamento costruttivo e responsabile», assicura Berlusconi, ma «il governo finora non ci ha ascoltato».
Ma anche dalla maggioranza si levano voci sempre
meno indulgenti: «Il premier deve indicare la rotta, e farlo in Parlamento: dire, davanti ad una crisi spaventosa, dove stiamo andando e anche se si è sbagliato a dire alla Ue facciamo da soli», incalza dal Pd Luigi Zanda.
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