La verifica continua: l'unica certezza che emerge, dopo l'incontro serale del premier con la delegazione di Italia viva, è che per capire se il governo inciampa o sopravvive si dovrà aspettare l'anno nuovo.
Il faccia a faccia è stato breve, appena venti minuti, causa consueto ritardo di Conte. Giusto il tempo di verificare le distanze e di assicurarsi (da parte del premier) che la crisi non è - ancora - ufficialmente aperta. E per alcuni scambi al vetriolo: «L'anomalia non siamo noi: è avere lo stesso premier per due governi di colore opposto», ha accusato Teresa Bellanova. Toni da scontro totale. «Domani parteciperemo al Consiglio dei ministri- assicura all'uscita la ministra - e continueremo a lavorare in Parlamento sui provvedimenti». Il governo non può essere affondato a sessione di bilancio aperta: questa, al momento, è l'unica buona notizia per Conte: «Aspettiamo che il premier rifletta sulle nostre proposte e ci faccia capire se ci sono le condizioni per andare avanti». Conte avrebbe commentato che si tratta di un contributo «costruttivo», eufemismo per evitare di riconoscere che il testo renziano ribalterebbe tutti i suoi piani, Renzi fa capire che tutto resta in sospeso.
L'antipatia tra i due è ormai palpabile, e trapela dai gesti rivelatori: prima Renzi che fa saltare l'appuntamento di martedì, poi Giuseppe Conte che fa saltare quello di giovedì mattina (perché deve andare da Haftar in Libia, con tanto di Di Maio).
L'uno gli fa trovare stampata su Repubblica la sua versione del Recovery Plan (con allegato elogio e testo di Mario Draghi, nome che con Conte funziona come l'aglio coi vampiri), l'altro gli risponde con i pescatori di Mazara da lui (e Haftar) riportati a casa dopo appena 108 giorni di detenzione illegale in Libia.
Così, quando a sera i due finalmente si incontrano, il clima è tutt'altro che disteso. Anzi, nel pomeriggio Renzi ha fatto rullare i tamburi di guerra, con un bellicoso intervento della ministra Teresa Bellanova: «Le nostre dimissioni? Non tarderanno ad arrivare se continueranno a mancare le risposte alle nostre domande». E chi pensa che le minacce di crisi siano «un bluff di Renzi, pensa male». Bellanova si occupa anche di replicare alle minacce di scioglimento delle Camere: «Non può diventare un ricatto: la maggioranza sta in piedi se ha i numeri per fare cose, non per dirle». Fino all'affondo finale: «L'emergenza sanitaria non può essere utilizzata per tenere in piedi un governo, se il governo non è in grado di decidere».
Insomma, quando a sera i due si ritrovano faccia a faccia, il premier ha già capito che nemmeno stavolta potrà chiudere quella verifica che aveva aperto nella convinzione fosse un tema già archiviato. E che la sua poltrona continuerà a ballare fino al prossimo anno, quando - archiviata la legge di Bilancio e, si spera, la fase acuta della pandemia - Renzi potrà valutare se ci siano o meno le condizioni per aprire una crisi vera, e far saltare il premier. Perché questo, nel medio periodo, è il suo obiettivo. Ora non troverebbe sponde politiche per farlo, ma di qui a qualche settimana la situazione potrebbe cambiare, e anche di molto. In Parlamento, e pure sul Colle.
La lettera di Renzi a Conte sul Recovery Fund esordisce senza alcuna pietà: «Quei 200 miliardi sono l'ultima chance che abbiamo. Come nota acutamente Mario Draghi il problema è peggiore di quel che appare, e le autorità devono agire urgentemente. La situazione è seria, presidente». La retorica del «tutto va bene» deve essere abbandonata, incalza l'ex premier: «Abbiamo il più alto numero di morti in Europa, cerchiamo di non essere i peggiori anche sulla ripresa».
Il piano inviato dal governo per impiegare quei fondi non funziona, dice l'ex premier: «Che senso ha spendere 88 dei 127 miliardi di prestiti solo per finanziare progetti che già esistevano?». E poi c'è il Mes, che Renzi ingiunge di utilizzare subito e che il Pd, messo alle strette, invoca anch'esso. E il povero Conte attende l'anno nuovo con crescente ansia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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