Il premier Giuseppe Conte mostra i muscoli: «In Europa tratto io», dice rivolgendosi ai due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma rischia di trovare le porte delle cancellerie e di Bruxelles sbarrate. L'Ue vuole trattare con chi conta davvero. E chi decide nel governo: i leader di Lega e Cinque stelle. Nonostante il premier provi a far passare l'immagine del capo del governo forte e autonomo, nelle stanze di Bruxelles nessuno lo prende in considerazione.
E nessuno, tra i capi delle istituzioni Ue che dovranno decidere sull'ok definitivo alla procedura di infrazione contro l'Italia, dà credito a Conte. Le garanzie sulla riduzione debito, sul rispetto delle prescrizioni Ue, sulla permanenza nella zona Euro, le vogliono dai due vicepremier. E anche la trattativa per l'indicazione del commissario in quota Italia la stanno conducendo il ministro dell'Interno e del Lavoro. A Conte è stato revocato il potere di firma.
Sicuramente è bravo con l'inglese, ai vertici Ue non sfigura; si presenta meglio di Salvini e Di Maio. Ma quando si arriva al dunque il presidente della commissione Europea Jean Claude Junker vuole discutere con i vicepremier. Conte si è distinto più come bravo interprete che come un premier politicamente forte. È un po' come ai tempi della Guerra fredda, quando le diplomazie internazionali si rivolgevano direttamente a Mosca o Washington per concludere accordi, bypassando i governi fantocci nelle repubbliche satellite. E certamente i due azionisti di maggioranza dell'esecutivo non aiutano Conte.
Ieri il ministro dell'Interno ha chiarito, per l'ennesima volta, che la trattativa per evitare la procedura d'infrazione, la condurrà Conte con un mandato già deciso. Circoscritto. Non dovrà superare i confini. Ridursi a semplice portavoce dei due leader veri del governo: «Conte, e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, andranno a trattare con l'Ue perché evitare la procedura d'infrazione ovviamente è obiettivo di tutti, ma non è che in cambio svendiamo il futuro del nostro paese, sottoscrivendo accordi che ci impiccherebbero per i prossimi 30 anni» ha commentato Salvini, parlando con i giornalisti a margine del question time alla Camera.
Questa immagine di premier fantoccio pare abbia stancato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel primo anno di governo gialloverde ha offerto una copertura politica e istituzionale a Conte. E proprio con l'obiettivo di dare maggior forza al presidente del Consiglio, dal Colle pare sia partito il suggerimento a mettere in campo un partito Conte. Una lista o un gruppo parlamentare: una mossa che servirebbe a rafforzare il ruolo del capo del governo. Il quale, inizialmente scettico, ora è possibilista. Anche se i sondaggi sono negativi: Alessandra Ghisleri di Euromedia Research quota un partito Conte all'1,8%.
L'operazione ha due obiettivi: spaccare il Movimento, soffiando un po' di parlamentari a Di Maio e aprire in prospettiva a un'alleanza con il Pd. Il movimento di Conte vorrebbe riunire tutta la schiera di parlamentari favorevoli a un'intesa con la sinistra: da Carla Ruocco a Roberto Ficco. Mentre i due colpi sarebbero Vincenzo Spadafora e Rocca Casalino.
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