
Il discorso più lungo nella storia della fiducia ai governi, calcolano gli esperti: 72 minuti, che lasciano un po' stremati anche i pur motivatissimi fan di Palazzo Madama.
La claque è energica e ben organizzata. Ai senatori grillini è stato spiegato che, se battono anche i piedi, il risultato è più fragoroso ed energizzante per l'oratore: così usano tutte e quattro le estremità. I Cinque Stelle partono puntuali con gli applausi quando Giuseppe Conte cita i capitoli made in Casaleggio: «No a vitalizi e pensioni d'oro»? Clap Clap Clap. I leghisti fanno lo stesso con i loro: «Stop al business dell'immigrazione»? Clap Clap Clap. Sul reddito di cittadinanza sorvola ma ci sono i temi unificanti: più galera per tutti? Super-Clap. Alla fine, saranno cinquantasette gli applausi, più una gazzarra con la maggioranza in piedi a urlare «fuori la Mafia (cioè gli altri partiti, ndr) dallo Stato» quando Conte rivendica, con un guizzo di improvvisa foga oratoria, le caratteristiche «populiste» e «anti-sistema» del suo governo, perché è così- spiega - che si «ascoltano i bisogni della gente» e si «rimuovono le storture del vecchio sistema».
Il neo premier esordisce presentandosi ufficialmente nel ruolo che gli è stato affidato dai capi partito che lo sorreggono: «Garante dell'attuazione del Contratto per il Governo del cambiamento», con tanto di maiuscole nel testo scritto che fa diffondere. E riesce a suscitare anche un attimo di incredula ilarità nelle file dell'opposizione quando, con aria solenne e compunta, sottolinea il «cambiamento radicale di cui siamo orgogliosi» nella gestazione di questo governo, rispetto a «prassi che prevedevano scambi nel chiuso di conciliaboli tra leader politici, per lo più incentrati sulla ripartizione di ruoli personali». Cancellando d'un tratto novanta giorni di blindatissimi vertici Salvini-Di Maio sul tema «Faccio il premier io», «No, tu no». Un altro momento di indignazione dai banchi Pd e Forza Italia si scatena quando il neo premier (mostrando tutta la sua inesperienza in materia di rapporti parlamentari) declama: «Al fine di onorare la centralità del Parlamento, vi anticipo sin d'ora che è mia intenzione applicare l'istituto delle interrogazioni a risposta immediata». Ossia qualcosa che, con il nome di Question time, si fa da varie legislature, con tanto di diretta tv, ma che il neofita Conte sbandiera come segno del «cambiamento radicale». Per non parlare delle proteste che si scatenano quando il Presidente del Consiglio lancia un chiaro e tondo appello al trasformismo dei voltagabbana, quelli che la sua maggioranza annunciava di volere espellere dal Parlamento: «Siamo disponibili a valutare l'apporto di gruppi che vorranno condividere il nostro cammino e aderire successivamente al nostro contratto di governo».
Per il resto, il discorso («Tutto di suo pugno», giura il boss della Comunicazione casaleggiana, Rocco Casalino, ora in forza a Palazzo Chigi) è un lungo elenco di buoni propositi e uno slalom tra istanze grilline e leghiste, slogan da campagna elettorale e necessità del governo e dei rapporti internazionali. Un inchino a Putin («Siamo fautori di un'apertura alla Russia») e un omaggio alla Nato; una strizzata d'occhio agli anti-Europa e una alla Ue. Tanto che l'istituto YouTrend calcola che la formula più usata dal prof è il celebre, veltroniano «Ma anche».
Se ne accorge Ignazio La Russa, che nel suo intervento gli fa tana: «Ha ripetuto ma anche 51 volte, come certi capi della sinistra...». E anche sugli sfoggi di erudizione l'incidente è in agguato: Conte evoca il discorso di Dostevskij su Puskin. Peccato sia una citazione presa pari pari da un recente intervento di Macron.