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Conte, il "riferimento fortissimo della sinistra" che diventa un guastatore e spiazza gli alleati

Da Zingaretti a Letta e Boccia l'avevano elogiato, ora prendono le distanze

Conte, il "riferimento fortissimo della sinistra" che diventa un guastatore e spiazza gli alleati

Prima, tutti salamelecchi e inchini. Conte di qui, Conte di là. Ma quanto è in gamba Conte, ma quanto è saggio Conte. Il professore, il giurista, l'avvocato, l'ex premier. Quando era presidente del Consiglio poi non mancavano scene di bava alla bocca. Lo si dipingeva come federatore. Vi era una specie di sudditanza verso il «Conte statista». «È parte integrante del progetto politico che abbiamo di fronte», diceva il dem Francesco Boccia. Negli giorni precedenti alla crisi scatenata da Matteo Renzi, quando il Pd giurava «o Conte o morte», si sprecavano gli elogi. «Conte punto di equilibrio». «Conte imprescindibile».

Ma adesso, che Conte non è più «er più», ma anzi è «er meno», i suoi ex adulatori si trasformano in detrattori. Chi gli apriva le porte gliele sbatte in faccia. Chi gli portava rispetto ora lo calunnia. Da leader di un partito che di fatto non esiste più ma che ha comunque avuto il coraggio, come ultima estrema mossa prima di morire, di far cadere un governo di emergenza, tutti gli alleati gli voltano le spalle. A cominciare dal Pd che solo pochi mesi fa tesseva le sue lodi e che adesso lo fa salire sul patibolo.

Nel dicembre 2019 il segretario del Pd Nicola Zingaretti riservava buone parole su Conte, dicendosi contento che il presidente del Consiglio avesse definito il governo di centrosinistra: «Ma per me non è una scoperta. Avevo già percepito il suo essere parte del pensiero democratico. Naturalmente con una sua originalità e autonomia, che per me sono una ricchezza». Per quanto riguarda l'ipotesi di proporre Conte come loro candidato premier, Zingaretti sosteneva addirittura: «Conte si è dimostrato un buon capo di governo. Autorevole, colto e anche veloce e sagace tatticamente. Non va tirato per la giacchetta. Anche se è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Enrico Letta, neo eletto segretario, non fu da meno: "Conte e il suo M5s saranno un interlocutore privilegiato».

Anche il ministro Dario Franceschini, lungimirante come al solito, sulla tenuta del governo solo a maggio sosteneva, assertivo: «Arriveremo a fine legislatura con questo governo», era la saggia previsione del ministro della Cultura. «Mi preoccupano le posizioni surreali e un po' sbagliate nei M5s. Ma non mi preoccupa la tenuta del governo». E su Conte? «Sta portando i 5 Stelle verso un percorso riformista e di alleanza con il Pd». Nientedimeno.

Insomma, adesso il Pd scopre la volubilità di Conte, il suo essere ondivago, «cambia troppo volte idea», dopo che a giugno disse a Napoli che non si sarebbe stracciato le vesti se l'alleanza con i democratici fosse infattibile. Ma solo quattro mesi fa Conte definiva lo schieramento con Pd-Leu «una prospettiva a cui credo molto» e vaticinava un intergruppo parlamentare. E Letta - il 24 marzo, non una vita fa - incalzava: «Siamo lanciati in una nuova affascinante avventura». E parlava addirittura "di empatia e stima reciproca".

Ora Conte è un guastatore, il movimentista nel governo. Inquieto, bizzoso, in perenne conflitto con tutti: Draghi, Di Maio, il Pd. Tornano a mente le parole di Matteo Orfini: «Conte è un trasformista, un leader buono per tutte le stagioni».

Magari, per una volta, aveva ragione.

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