Conte teme il governissimo. Finta apertura all'opposizione

In Aula non nomina mai Draghi e sospetta che il Colle sapesse della lettera al Ft. Oggi parte la cabina di regia

Conte teme il governissimo. Finta apertura all'opposizione

Il fantasma di Mario Draghi aleggia da settimane ai piani alti di Palazzo Chigi, dove Giuseppe Conte sa benissimo che sulla figura dell'ex presidente della Bce potrebbe facilmente saldarsi una maggioranza trasversale con tutti dentro in grado di affrontare in maniera più corale quella che con tutta evidenza è la più grave emergenza nazionale dai tempi del dopoguerra. Ne è consapevole da tempo il premier, ma il fatto che mercoledì sera Draghi abbia deciso di battere un colpo lo ha innervosito non poco. Il timore, infatti, è che qualcosa si sia messo in moto, perché - questa la riflessione che Conte ha condiviso con un suo collaboratore - è difficile pensare che uno prudente come l'ex banchiere centrale abbia deciso di prendere carta e penna e inviare al Financial Times una lettera con i suoi suggerimenti per arginare la crisi senza prima farne partecipe il Quirinale. Se davvero, dunque, è partito il tentativo di creare un governo di unità nazionale, secondo Conte ci sarebbe anche la benedizione del Colle. Che, non è un mistero, non ha condiviso alcune scelte comunicative del premier, ma pure l'incostanza, in alcuni casi ai limiti della provocazione, con cui si è relazionato con l'opposizione. Al di là dei pregressi con Matteo Salvini (è evidente che il rapporto tra i due è irrecuperabile, soprattutto dal punto di vista umano), è infatti impensabile gestire una crisi di tali proporzioni e che comporta forti limitazioni delle libertà personali dei cittadini senza un'intesa con la minoranza. Soprattutto se, almeno stando agli ultimi sondaggi, rappresenta oltre il 45% degli italiani (questi all'incirca i numeri di Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia). Sul punto non solo il Quirinale, ma anche il Pd ha insistito molto con Conte, invitandolo ad essere «inclusivo» e «condividere». Inutilmente, però. Nell'intervento di mercoledì alla Camera, infatti, il premier si è ben guardato da qualunque accenno alla minoranza. Solo ieri mattina, replicando l'informativa urgente al Senato, ha concesso un minimo di disponibilità a «una condivisione delle misure con l'opposizione». Niente di più. Non a caso, nessuno ha interpretato davvero le sue parole come una mano tesa. E molte sono state le voci critiche negli interventi che hanno seguito quello di Conte («collaborazione non è un garbato ascolto», dice Salvini; «non vogliamo essere solo sentiti, ma anche ascoltati», gli fa eco la senatrice di FdI Isabella Rauti; «la collaborazione non è obbedienza», insiste la capogruppo di Forza Italia al Senato Anna Maria Bernini). Che margini ci sono davvero per un confronto costruttivo lo si vedrà oggi, quando alle 10 si riunirà la cabina di regia governo-opposizioni con Conte, i ministri Roberto Gualtieri (Economia) e Federico D'Incà (Rapporti con il Parlamento) e i capigruppo di minoranza.

Inutile dire che lo spazio di manovra appare molto ristretto. Non solo perché Conte non si fida di Salvini, tanto che fino a ieri non aveva fatto nulla per coinvolgere l'opposizione. Ma anche perché il premier si è convinto del fatto che non solo il leader della Lega, ma anche Giorgia Meloni e Forza Italia (ma pure Matteo Renzi), vogliano in qualche modo «usare» il fantasma di Draghi per destabilizzare l'esecutivo. Qualcuno legge proprio in questa chiave il riavvicinamento delle ultime settimane a Luigi Di Maio, nell'informativa alla Camera di mercoledì uno dei tre ministri citati ed elogiati esplicitamente dal premier (insieme ai dem Lorenzo Guerini e Francesco Boccia). Mai come prima, infatti, Conte ha bisogno del sostegno di tutto il Movimento, soprattutto dell'ala dimaiana.

Un M5s che proprio ieri, per bocca del capogruppo al Senato Gianluca Perilli, si è scagliato duramente sia contro Salvini che contro Meloni, compromettendo di fatto sul nascere qualunque tentativo di reale collaborazione. Una sortita, dicono i rumors, concordata con Palazzo Chigi proprio per stoppare sul nascere eventuali tentazioni di governi di unità nazionale.

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