Conte uomo solo allo sbando, l'Ue lo isola, Salvini lo sabota

Il premier non convince nessuno a Bruxelles sui conti Matteo: "L'infrazione? Sarebbe attacco contro l'Italia"

Dal sito Governo.it
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Non solo Giuseppe Conte è arrivato al vertice europeo di Bruxelles disarmato e privo di quei «numeri verificati» dall'assestamento di bilancio che gli avrebbero consentito di rassicurare i partner almeno sui conti del 2019, ma che i suoi vice gli hanno negato. Ma mentre era lì, ad agitarsi nei corridoi di Justus Lipsus e a far diffondere dal suo staff foto che lo ritraevano immerso in conversari notturni con Merkel e Macron, per dare l'idea di un ruolo centrale italiano per il momento smentito dai fatti, il leghista Salvini mandava messaggi bellicosi che fanno traballare una trattativa già molto precaria: «La procedura di infrazione sarebbe un attacco politico all'Italia. Va evitata, ma non ad ogni costo».

L'esatto contrario di quanto sostenuto da Conte, per il quale invece evitarla è indispensabile, e che ha annunciato di non voler «mettere la faccia» su una simile débâcle. Inevitabile, quindi, che il premier tornasse da Bruxelles con le pive nel sacco: i suoi interlocutori, già assai meno concilianti di quanto lui si illudesse, si sono ulteriormente irrigiditi per i segnali contraddittori e sprezzanti che arrivano da Roma. Il più chiaro è l'olandese Rutte: «Sono certo che la Commissione garantirà che l'Italia attui in modo rapido ciò che deve essere fatto o procederà».

Conte sperava di poter almeno guadagnare un po' di tempo: se con il consiglio dei ministri previsto mercoledì si varerà l'assestamento di bilancio, spalmando un po' di risparmi e maggiori entrate sul 2019, si potrebbe ottenere un rinvio per quanto riguarda il 2020. Per Conte (e per M5s) l'obiettivo è quello di scavallare la data fatidica del 20 luglio, ultima finestra utile a Salvini per far saltare il governo e andare al voto in settembre. E la riunione Ecofin del 9 luglio, che sancirà o meno la procedura verso l'Italia, lascia a Salvini il margine necessario.

Così ieri il premier non nascondeva il pessimismo: «Io sono determinato, e conto sul fair play dei miei interlocutori. Ma la situazione è molto complicata», ammetteva. La sua lettera alla Commissione (liquidata con un: «Parole, parole, parole» da un alto funzionario europeo) non ha sortito effetti: troppi lamenti e generici appelli. Nessuna risposta concreta sulle inadempienze italiane. Nella conferenza stampa finale Conte cerca di raddrizzare il tiro: «La lettera era in effetti un po' lunga. Ma non era un espediente per sottrarsi alle regole: non chiediamo deroghe o concessioni. Le regole, finché esistono, vanno applicate». Ma l'Italia «non ha nulla di cui scusarsi, e io non sono qui col cappello in mano», aggiunge, «la Commissione fa proiezioni sulle sue stime, ma i numeri veri li abbiamo noi». A chi gli chiede che garanzie darà alla Ue, replica: «Non possiamo mettere in campo pubblicamente le misure, ma l'approccio è costruttivo». Gli chiedono se nominerà il ministro per gli Affari Europei che ancora manca, lui rinvia a dopo «questo complesso negoziato». Ma da Roma Salvini reclama la poltrona «entro la prossima settimana».

Anche sulle nomine europee il ruolo italiano è residuale. L'Italia non ha candidati per i top job («Nella scorsa legislatura abbiamo avuto moltissimo, a cominciare dalla Bce.

E sono orgoglioso della standing ovation riservata oggi a Draghi dal Consiglio», dice Conte). E due foto giustapposte, diffuse nella notte di giovedì, danno il quadro della situazione: da una parte Merkel, Macron e Sanchez intenti a trattare, dall'altra Conte e la May seduti su un divano, ad attendere notizie.

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