"Contro il rischio estremismo manca un piano sui giovani"

Il magistrato: «Politica poco sensibile e lungimirante Bisogna contrastare i messaggi dell'Isis su internet»»

"Contro il rischio estremismo manca un piano sui giovani"

«Contro i terroristi ci vuole una risposta ferma e seria, e con le norme che abbiamo introdotto nel 2015 in materia di terrorismo la abbiamo data». Ciò che manca ora, avverte Stefano D'Ambruoso, magistrato, ex deputato di Scelta Civica, è un vero piano di prevenzione. Eppure era stato messo tutto nero su bianco, nella proposta di legge a sua firma - insieme a quella del dem Andrea Manciulli - approvata alla Camera il 18 luglio 2017, ma approdata in aula al Senato troppo tardi per vedere la luce: era il 21 dicembre scorso, ultimo giorno utile della legislatura. Fosse passato, quel provvedimento («Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista») sarebbe forse servito a fermare il minorenne di Trieste prima che si radicalizzasse al punto da pensare a un attentato.

Perché la sua proposta non è diventata legge?

«Nonostante fosse condivisa da tutti, sui tempi sono mancate sensibilità e lungimiranza di una politica abituata parlare di terrorismo secondo logiche emergenziali».

Cosa prevedeva?

«Dopo le norme, sottolineo molto repressive, che abbiamo introdotto a seguito di Charlie Hebdo - dalla procura nazionale antiterrorismo a nuovi reati, come quello dell'autoaddestramento - quella proposta mirava ad agire in via preventiva per attenuare il rischio di avere sempre più radicalizzati in casa nostra nei prossimi decenni. Avevamo previsto programmi governativi nelle scuole, per intervenire sul fenomeno delle seconde generazioni di immigrati, come quella del minorenne di Trieste, nelle carceri e sul web. Soprattutto il ddl prevedeva una cabina di regia al ministero dell'Interno, con un centro di contrasto alla radicalizzazione, e la creazione di una commissione parlamentare ad hoc in ogni legislatura».

Il minorenne di Trieste ora dovrà affrontare un percorso di deradicalizzazione, il primo in Italia. Di cosa si tratta?

«Il nostro ordinamento prevede che per i minorenni autori di reati si possano avviare percorsi di recupero, in cui alcuni tutori li accompagnino verso la consapevolezza dell'erroneità della loro condotta. Nel caso di Trieste il giudice ha adattato questo strumento al reato, individuando per il ragazzo l'affiancamento di un imam. Ricordiamoci che il coinvolgimento della comunità musulmana è decisivo contro la radicalizzazione».

Il suo ddl avrebbe offerto strumenti diversi per trattare questo caso?

«La mia proposta riguardava la prevenzione. In particolare per il web, prevedeva la cosiddetta narrativa alternativa, per neutralizzare il messaggio jihadista che arriva ai giovanissimi attraverso gli smartphone. Si sarebbe potuta attivare sui canali web usati dal minorenne».

In Francia abbiamo visto che le cliniche nate per deradicalizzare soggetti estremisti spesso hanno fallito. Perché?

«Non sono progetti facili, ma bisogna farli. Anche se dovessero funzionare con il dieci per cento dei soggetti sarebbe già un risultato».

L'Italia finora è stata risparmiata da attentati. Merito della nostra intelligence o del caso?

«È brava la nostra intelligence, capace di monitorare le insorgenze di rischio. E di intervenire, come è stato fatto con le centinaia di espulsioni in questi anni.

Ma anche il tema delle espulsioni va affrontato: il ragazzo di Trieste, per esempio, è cittadino italiano, quindi impossibile da espellere. In Francia ci sono 11mila soggetti a rischio che non possono essere espulsi perché nati e cresciuti nel Paese. Da noi non ci sono questi numeri, ma la prevenzione è fondamentale».

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