Petroliere sequestrate, droni abbattuti, truppe dispiegate e appelli alla ragionevolezza e alla diplomazia che sembrano lanciati proprio nel timore che cominci a esser tardi per farvi davvero affidamento. La partita in gioco nel Golfo Persico rischia in effetti di sfuggire di mano almeno a qualcuno dei suoi protagonisti, e con quali temibili conseguenze visto che stiamo parlando dello strategico cuore dei rifornimenti di petrolio vitali per i Paesi occidentali e non solo è appena il caso di ricordare.
La domanda che legittimamente ognuno si pone è: ma davvero siamo arrivati a un passo dal punto di non ritorno, davvero rischia di scoppiare una Terza Guerra del Golfo con l'Iran al centro dei mirini americani? La domanda è semplice, ma la risposta è complessa. Complessa come l'intrico di interessi che si annodano in quel punto del mondo così speciale da renderlo unico. Qui si incrociano le prioritarie necessità di approvvigionamento energetico dell'Occidente con la presenza di una potenza regionale, l'Iran, il cui governo fanatico chiama un popolo disilluso a compattarsi di fronte a due nemici: il Satana americano con i suoi alleati europei, e l'Arabia Saudita «traditrice del vero islam sciita» e legata a doppio filo con l'odiata America. A complicare il quadro c'è l'ambizione pericolosissima del regime islamico di Teheran di dotarsi di un arsenale atomico da utilizzare nessun dubbio al riguardo contro l'altro grande nemico degli ayatollah: Israele. Il patto voluto da Barack Obama per mettere sotto controllo quel programma è stato stracciato da Donald Trump, che invano si sforza di portare dalla sua parte gli alleati europei (che tanto è abituato a bistrattare) perché essi pure lo denuncino. Il braccio di ferro con Londra obbliga in queste ore Francia e Germania a prendere le distanze da Teheran, ma a Downing Street nessuno si illude: la solidarietà europea raramente va oltre le parole.
Si cerca una via diplomatica per uscire dalla strozzatura, più stretta dello stretto di Hormuz al centro della contesa, provocata dagli attacchi iraniani alle petroliere britanniche.
Lo stesso Trump, che ha scarsa visione geopolitica ma consiglieri abbastanza assennati, non vuole incendiare il Golfo, ma il gioco di ricatti sfacciati messo in piedi dagli iraniani potrebbe metterlo con le spalle al muro, e l'uomo non è troppo disponibile ad accumulare figuracce a poco più di un anno dalle prossime presidenziali americane. La cosa più brutta è che il gioco sembra condotto dai pasdaran, le guardie della rivoluzione iraniana. I quali avranno anche fatto i loro cinici conti, ma a forza di tirare la corda accade a volte che si strappi.
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