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Le mosse delle Bce per fermare i prezzi: altra stretta sui tassi e scudo anti spread

Verso un aumento dello 0,25% già a luglio. L’acquisto di titoli tiene a bada i mercati

Le mosse delle Bce per fermare i prezzi: altra stretta sui tassi e scudo anti spread

Il dato sull'inflazione all'8,6% nell'Eurozona è l'equivalente di nuvole cariche di pioggia prima di un temporale sul fronte della politica monetaria. Si tratta di un numero più alto delle attese (gli analisti stimavano un +8,4%), che fa ripensare alle dichiarazioni di Christine Lagarde al forum di Sintra, in Portogallo, quando fece capire che l'entità del rialzo dei tassi d'interesse sarebbe andato di pari passo col carovita.
L'inflazione è la malattia da sconfiggere per la Bce, che ha come obiettivo di medio termine quello di riportarla al 2%. Pertanto un'aumento dei prezzi più forte vuole dire una dose di medicina maggiore: ergo, tassi di interesse più alti. Nella riunione del 21 luglio ci sarà l'annunciato aumento di un 0,25%, ma a settembre a questo punto sembra scontato un incremento da mezzo punto e, nelle sedute successive, non sono da escludere aumenti ancor più decisi.


Non una buona cosa per chi è più indebitato come l'Italia, che tuttavia ieri ha vissuto una buona giornata con lo spread: a fine seduta, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale e il pari scadenza tedesco era a 198 punti base, dai 202 della vigilia. Il rendimento dei decennali italiani ha chiuso la settimana al 3,22% dal 3,39% del closing di giovedì e dopo aver toccato il 3,7% martedì scorso.
Può aver aiutato il fatto che l'Eurotower in questi giorni sia tornata ad acquistare i titoli dei mercati periferici attraverso i reinvestimenti del Pepp. L'altra forza in azione sono le aspettative dei mercati sullo scudo anti-spread, che la Bce dovrebbe rivelare sempre il prossimo 21 luglio. «Agire contro la frammentazione, contrastando qualsiasi reazione eccessiva dei mercati alla normalizzazione della nostra politica monetaria, non è solo coerente con il nostro mandato ma è necessario», ha detto proprio ieri il membro del board Bce, Fabio Panetta. Una determinazione che per ora ha avuto l'effetto di portare i rendimenti dei bond continentali sui minimi dall'inizio di giugno.


In ambienti finanziari, però, circola anche un'altra teoria. Infatti, c'è chi dà per scontata una recessione a cavallo del 2022-2023. E questo potrebbe portare Francoforte a tornare in tempi brevi a una politica monetaria di nuovo accomodante.


Al momento, però, si può parlare solo di rallentamento: l'indice Pmi manifatturierio dell'eurozona a giugno è sceso a 52,1 punti, in calo dai 54,6 dell'ultima rilevazione ed è ai minimi da 22 mesi (un dato sopra i 50 punti indica comunque espansione economica). In Italia il dato è anche inferiore: a 50,9 punti. E se questo è un segnale, si aggiunge che Andrea Enria, a capo del consiglio di vigilanza della Bce, ha proposto alle banche di rimodulare la loro politica dei dividendi in vista di uno scenario economico peggiore.


C'è spazio però per un'altra riflessione. Il dato dei prezzi core, sempre secondo i dati Eurostat, vale a dire quello che esclude le componenti dell'energia, degli alimenti e dell'alcol è salito del 3,7% su base annuale, in lieve rallentamento rispetto al +3,8% di maggio. Ciò significa che sul dato totale incide principalmente il caro energia che nel nostro Paese, su dati Istat, è stato a giugno del 48,7% su base annuale.

Su tali rincari la politica monetaria della Bce può avere effetti limitati, con il rischio che una crescita dei tassi troppo aggressiva danneggi l'economia senza risolvere il problema prezzi.

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