Corso di italiano per italiani L'idea dell'assessore-maestro

Lamera, stanco degli strafalcioni dei suoi concittadini li invita a tornare sui banchi. E si iscrivono in quindici

Corso di italiano per italiani L'idea dell'assessore-maestro

Questo articolo è una rogna bella e buona. C'è tutto da perdere e ben poco da guadagnare. Andrà scritto in italiano perfetto, a prova di linguista. Letto e riletto. Guai se per imperizia o distrazione dovesse scapparci un strafalcione (sbagliato). Un'errore (sbagliato). Guai se dovremmo scrivere qualcosa di sgramaticato (doppiamente sbagliato).

Perché q ui si parla di italiani che non sanno più parlare l'italiano. Di tizi che, pensandosi un incrocio tra Prévert e Banksi, scolpiscono il loro amore sui muri con frasi come «Non posso fare almeno di te», «Con te accanto posso rinunciare ha tutto», «Sei la cosa più bella che abbia mai esistito», «Io x te muoro» (e Joe Bastianich ha un alibi di ferro). Di persone che messaggiano a tutto spiano alla carlona, senza fare differenza tra perché e perché (anzi, xchè), tra un'altro e un altro e che al massimo, quando sono messe alle strette da qualche interlocutore purista, se la cavano dando la colpa al t9.

A loro ha pensato Marino Lamera, assessore alla Cultura (e chi se no?) del comune di Bariano in provincia di Bergamo, istituendo dei corsi di italiano per italiani a cui ha invitato i suoi 4308 concittadini a partecipare.

Non sappiamo quali delitti grammaticali abbiano compito i barianesi per indurre il loro assessore a prendere una sì drastica decisione, ma di certo la misura deve essere stata colma. Ed è partito il progetto «Cinque ri-passi della grammatica» (speriamo il contenuto sia meglio del titolo, ecco). Per il momento gli iscritti sono quindici, compresi alcuni stranieri con competenze linguistiche avanzate ma che comunque non hanno voluto rinunciare all'occasione di affinare il loro italiano gratis. Non sono però loro - che per la carta di identità sono giustificati in caso di svarione - il target delle lezioni, ma gli italiani doc. Quelli che, sostiene l'assessore, «scrivono ha senza acca e non usano correttamente il congiuntivo».

Il problema è che di solito gli ignoranti non sono consapevoli di esserlo oppure non se ne curano, essendosi sempre trovati bene così. L'iniziativa rischia pertanto di attirare solo pedanti e secchioni di ritorno. Malgrado ciò l'idea ha un che di coraggioso, in un'epoca che sembra premiare gli stupratori della lingua, gli sgrammaticatori seriali. Al punto che uno dei più ostinati anti-italianisti della nostra scena politica è da poco diventato vicepremier e ministro. Per fortuna dello Sviluppo economico e non dell'Istruzione (o della Cultura). Parliamo di lui, Giggino Di Maio, autore di perle come «soddisfando», «accellerare» (ribadita con «decellerare», a uso di chi pensi a un refuso), lottatore di sumo con il congiuntivo, match da cui esce regolarmente sconfitto, impassibile collezionista di gaffe, continuo dimostratore del teorema secondo cui puoi dire qualsiasi scempiaggine (anche che Pinochet è stato il dittatore del Venezuela) ma se lo fai con il sorriso litografato di chi ha sempre ragione sarà la grammatica ad arrendersi e non certo tu. Infatti il leader dei Cinque stelle non ha mai chiesto scusa per i suoi continui errori, curando più la piega dei pantaloni che quella delle frasi e anzi a volte sembrando quasi inorgoglito da un'incompetenza linguistica che - come hanno rilevato spesso dotti politologi - lo ha avvicinato alla «gggente» anziché meritarne il disdoro. Del resto in un mondo senza grammatica chi ne possiede un po' è quasi un disadattato sociale.

Per questo le iniziative come quella dell'assessore

di Bariano sono doppiamente coraggiose. Perché non solo combattono gli inquinatori della lingua ma anche la penosa deriva del tanto peggio tanto meglio. Una matita blu ci salverà. Ma per favore, senza l'accento sulla «u».

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