Tra i non pochi disastri dell'università italiana c'è la legge che ha istituito una doppia laurea, quella «breve», da conseguirsi nei tre primi anni di studio, e quella «specialistica», che si ottiene dopo altri due anni di corsi. Nelle intenzioni del legislatore, questo provvedimento avrebbe dovuto accelerare il percorso formativo degli studenti per immetterli nel mercato del lavoro un anno prima del raggiungimento della tradizionale laurea quadriennale. Un fiasco. Credo che non ci sia un docente che oggi possa dire che la laurea «breve» e quella «specialistica» siano state una buona proposta per snellire il corso degli studi accademici mantenendo, comunque, il rigore della preparazione. Un fiasco, appunto, perché non ci sono state né una velocizzazione dell'immissione di laureati sul mercato del lavoro, né una reale scientificità nel progetto di divisione della laurea in due parti. Di fatto, chi voleva avere un diploma «serio» ha continuato a studiare fino al conseguimento della laurea specialistica, cioè dopo cinque anni di corsi accademici.
La laurea «breve» oggi è ridotta a qualche pagina di commento di un testo, di riassunto di un problema, di annotazioni senza nessuna pretesa di autonoma, personale ricerca. Una formalità necessaria per proseguire gli studi e ottenere il secondo livello di laurea, che, se affrontato seriamente, produce buoni risultati.
Dunque, la conseguenza immediata è l'assoluta inutilità della laurea «breve», se non in alcune realtà appartenenti alle Facoltà di medicina e di ingegneria. L'abolizione della laurea «breve» dovrebbe essere una decisione indiscutibile. Ma non è così. Alcune università, come quella di Bologna e di Cà Foscari a Venezia suggeriscono la sua sostituzione con i test.
Incominciamo dai test: per il mondo accademico, sono un'insostenibile scorciatoia di valutazione (lo si constata facilmente osservando quali errori si verifichino con i test di ammissione alle università, al punto che li si vogliono abolire). Posso supporre che, nel caso, i test in sostituzione della tesi «breve», possano essere più seri di quelli usati per le ammissioni. Mi sembra, però, una soluzione studiata appositamente per ridurre il lavoro del docente che, comunque, si deve leggere la tesina triennale per dare con serietà una valutazione. Il ragionamento del docente è semplice: poiché non serve a niente, è inutile perdere del tempo per giudicare un elaborato inconsistente sia dal punto di vista «scientifico» che normativo.
Per lo studente è diverso: è consapevole che il suo elaborato, che pomposamente si chiama laurea triennale, sia inutile, tuttavia gli consente l'opportunità di incominciare a scrivere qualcosa su un argomento scelto insieme al docente. Non è un caso che siano proprio loro ad essere perplessi sull'opportunità di abolire l'elaborato per la laurea triennale, ritenendolo un valido esercizio iniziale per la loro preparazione e considerando, anche, il test un pessimo escamotage didattico e culturale.
La soluzione? La suggeriscono gli stessi studenti e i professori che sanno davvero cosa sia oggi l'università.
Avere il coraggio di ammettere che la cosiddetta riforma del 3 più 2 (laurea «breve» e laurea «specialistica») sia stata una colossale idiozia uscita dalla testa di chi conosceva approssimativamente l'università, e ritornare alla laurea quadriennale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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