
Abbas ha trentatré anni, è marocchino e lavora da facchino sottopagato a Bologna. Poi c’è Rafael, un disoccupato venezuelano che vive a Roma, nello stabile occupato di viale del Policlinico. Sfilano spalla a spalla, lungo via Cavour, sotto la pioggia battente e le insegne rosse del sindacato “S.I. Cobas”. È questa l’altra piazza di oggi. Il volto travisato e arrabbiato della sinistra che invoca “libertà” per Moustafa Elshennawi, il “compagno” arrestato per il pestaggio del brigadiere di Piacenza. La piazza degli operai che non hanno “né padrini né padroni”. Circa duemila manifestanti, marcati a vista dalle forze dell’ordine che temono infiltrazioni. E tenuti a debita distanza dall’establishment dem, perché “qui siamo tutti immigrati”.
Le saracinesche si abbassano, una dopo l’altra, al loro passaggio. Le poche che restano aperte sono quelle dei minimarket e dei negozietti turistici gestiti da stranieri che, per un giorno, si sentono a casa. Qualcuno prova comunque a raggranellare una manciata di voti, quelli dei pochi italiani presenti al corteo. Sono i militanti di Potere al Popolo che distribuiscono volantini contro il liberismo e il capitalismo: “Il 4 marzo - si legge - vota”. Vengono subito intercettati e allontanati dagli organizzatori. “Andate via, via”, gli intima un africano, le regole sono chiare: “Nessun simbolo politico qui, perché la politica è contro di noi”.
Cittadini del Bangladesh, del Maghreb, dell’Africa subsahariana sollevano i pugni al cielo. Sikh avvolti da turbanti e fisionomie camuffate da kefiah e passamontagna. La marcia prosegue, scandita dai decibel di una camionetta e dal rimbombo dei petardi. Alcuni esplodono nell’area archeologica di via dei Fori Imperiali. E ogni passo è un’invettiva. Il Job Act è solo la punta dell’iceberg. Alla gogna degli irriducibili c’è la sinistra “democristiana” di Matteo Renzi nella sua totalità. “Renzi ha rinunciato ad andare a Macertata dopo l’assalto di quel fascista ai migranti di colore”, dice un manifestante. E la Boldrini? Perché non c’è? “Ha tradito anche lei”. Si parla di lotta di classe, senza alternative, inevitabile, necessaria. Chissà se i migranti che sfilano ci credono per davvero, o se l’hanno semplicemente mutata per osmosi dai centri sociali. La realtà è che qui lo scontro è più di visioni del mondo.
Sono arrivati in Occidente ma non lo amano. Non né riconoscono i valori e lo stile di vita. No al mercato, no al capitalismo, no alla democrazia e ripudio delle libertà individuali della vecchia borghesia. Sembra di essere tornati agli anni '70, ma con un elemento nuovo: i centri sociali che arruolano i migranti come nuove masse proletarie. È il sogno di una rivoluzione comunista che arriva dal mare, dai barconi dei trafficanti di uomini. Sui volantini si leggono sigle che evocano fantasmi del passato: partito comunista internazionalista, Quarta Internazionale, sinistra anticapitalista. E riappaiono frasi come questa: “Il fascismo c’è già, si chiama democrazia”. L’astensionismo è il primo comandamento. Lo Stato lo si conosce e riconosce appena. La lingua italiana idem. Ma da questo Stato si pretende casa e lavoro. Il corteo arriva a piazza Madonna di Loreto, a due passi da piazza Venezia, e rumoreggia.
Chiama la rivoluzione, con un nuovo protagonista politico: l’immigrato massa. Sono passati quasi trent’anni, e in una giornata di pioggia e freddo di febbraio sembra che il vecchio Muro stia tornando in piedi. Questo futuro puzza di passato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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