Cronaca giudiziaria

Così i legali di Grillo jr. hanno screditato le vittime

Nell'interrogatorio di Roberta si fa di tutto per farla cadere. Ma sullo stupro dell'amica lei conferma tutto

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«Che tipo di pasta ha cucinato quella sera?». Si è sentita rivolgere anche questa domanda, in udienza e sotto giuramento, Roberta: una delle due ragazze invitate nel 2019 nella villa di Ciro Grillo in Costa Smeralda e inghiottite in un vortice di alcol e sesso. Adesso il figlio del fondatore dei 5 Stelle è sotto processo, insieme a tre amici, per stupro ai danni delle due ragazze. Il processo volge alla fine, è stata interrogata Roberta, il prossimo 7 novembre toccherà a Silvia. Per due giorni, il 22 e 23 settembre, Roberta è stata interrogata nell'aula a porte chiuse. Ora sono state depositate le trascrizioni. Che documentano il trattamento duro cui la ragazza è stata sottoposta dai legali degli imputati. Una lunga serie di domande, con l'obiettivo evidente di mettere in discussione l'attendibilità del loro racconto su quanto accadde quella notte. È il mestiere del difensore, certo. Ma nei verbali si scopre che per cercare di fare cadere in contraddizione è stato fatto di tutto. Compresa la domanda sulla pasta cucinata da Roberta, che fa insorgere anche il giudice Marco Contu: «Addirittura? La rilevanza qual è? Vuole sapere se fossero spaghetti o fusilli?».

Ma l'avvocato non demorde, «che pasta ha cucinato, signorina? Con quali ingredienti l'ha cucinata?». Sono passati quattro anni, e la ragazza ovviamente fatica, «era una pasta corta... adesso non ricordo specificamente». L'avvocato non si ferma, «fu lei a riportare la pentola in cucina?». E via di questo passo, su ogni dettaglio - anche il più insignificante - delle ore trascorse nella casa di Arzachena. «Le finestre avevano le tende?»

L'obiettivo è dimostrare che le ragazze non sono attendibili: nella descrizione della serata, e soprattutto quando Silvia racconta che era troppo ubriaca per opporsi al quartetto. «Lei e Silvia non eravate in condizioni di ebbrezza? Non eravate ubriache?» «Io non posso sapere com'era Silvia realmente, io avevo bevuto, non ero in condizioni... ero cosciente del mio corpo, però avevo bevuto». L'avvocato non molla: «perché poi a un certo punto siete rimaste ancora in quella casa?», «quando vi siete svegliate i ragazzi dormivano?», «quanto tempo è passato da vostro risveglio a quando vi hanno accompagnate? Pochi minuti? Mezz'ora? Un'ora? Due ore?». Sotto l'incalzare Roberta fatica a rispondere, «non un'ora, non cinque minuti...».

Nel ricordo chiave Roberta resta netta, ed è il punto cruciale del processo: «A che ora si sveglia? Alle dodici e mezza, l'una? Va da Silvia e la trova nella camera, nuda, poi cosa succede?» «Le ho chiesto che cos'era successo, lei mi ha detto: mi hanno violentata. E io le ho chiesto: chi? Lei mi ha risposto tutti».

L'ultimo attacco i difensori lo dedicano ai comportamenti delle ragazze all'inizio della serata («Vi capitò di scambiare qualche impressione, anche sulla gradevolezza? Sono carini, sono simpatici, quello mi piace?») e soprattutto sull'indomani e nei giorni successivi, quando invece che mostrarsi scioccate avrebbero continuato la vita di prima. «Tra di voi avete fatto finta come se nulla fosse successo (...) quando eravate insieme l'atteggiamento di Silvia rispetto al mondo, vita, bar, cena, mare, aperitivi com'era?».

E ancora: «Silvia aveva pubblicato una foto in mutande e reggiseno?».

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