Politica

Così magistrati e burocrati condannano a morte Dell'Utri

L'ex senatore ricoverato al Pertini per un'infezione contratta in cella. Il grido d'allarme della moglie: "Ogni esame clinico è una battaglia col carcere, le sue patologie sono peggiorate"

Così magistrati e burocrati condannano a morte Dell'Utri

Una risonanza magnetica che non arriva. Una cella con piccioni ed escrementi. I tempi purtroppo interminabili della burocrazia carceraria italiana. Marcello Dell'Utri sta male, molto male e le sue condizioni si sono aggravate nei giorni scorsi. Ora la moglie Miranda Ratti rompe il suo storico riserbo e lancia una sorta di appello: «Sono preoccupata, l'organismo di Marcello è debilitato e ai problemi precedenti si è aggiunta un'infezione partita dalle vie urinarie che l'ha aggredito fra martedì e mercoledì».

L'ex senatore azzurro ha cominciato a sentirsi poco bene martedì sera nella cella di Rebibbia dov'era arrivato domenica da Parma. Mercoledì le sue condizioni si sono aggravate e i medici hanno deciso il trasferimento al Pertini, uno dei più importanti ospedali della Capitale. Qui è iniziata una terapia per contrastare la sepsi, ma contemporaneamente i medici hanno chiesto la risonanza magnetica effettuata a Parma il 7 maggio scorso. Purtroppo fino a ieri sera la risonanza non era arrivata. «L'abbiamo sollecitata con mail e lettere - spiega la signora Ratti - ma la risonanza che poi è digitale, non ci è stata ancora inviata. A suo tempo, mesi fa, avevamo chiesto che l'esame della prostata si svolgesse al Policlinico di Milano, nella struttura del professor Bernardo Rocco, urologo all'avanguardia, ma il magistrato di sorveglianza aveva bocciato l'istanza. E ci aveva risposto che per svolgere quell'esame non era necessario andare a Milano, ma si poteva rimanere a Parma. Il risultato è che ancora non conosciamo l'esito di quell'esame».

Piccoli e grandi ritardi. Trafile burocratiche. Umiliazioni. Il destino di Marcello Dell'Utri è comune a quello di molti altri detenuti. Il fondatore di Forza Italia è in galera da due anni, dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. In carcere si è trovato male e i suoi guai si sono acutizzati: Dell'Utri è diabetico e cardiopatico. Poi ci si è messa la prostata. «Mi spiace dirlo - aggiunge Ratti - ma siamo in battaglia, perché ogni esame richiede telefonate su telefonate e attese snervanti. Per un elettrocardiogramma abbiamo aspettato tre mesi, per la risonanza quattro o cinque e intanto le diverse patologie sono peggiorate». Domenica scorsa, finalmente, il tanto agognato trasferimento, in ambulanza, in un'altra prigione: Rebibbia a Roma. «Il primo impatto - confessa la donna - è stato molto duro. In cella c'erano piccioni e nel cesso, alla turca, escrementi umani. Marcello ha pulito tutto e si è sistemato». Ma l'infezione covava e fra martedì e mercoledì è esplosa. Dell'Utri ha avuto un mancamento ed è stato portato al Pertini. «Speriamo che si riprenda rapidamente, anche se è in uno stato di profonda prostrazione - afferma Miranda Ratti - di sicuro il personale medico del Pertini garantisce un'assistenza adeguata». Ora si aspetta che Parma completi l'invio della documentazione e che l'infezione venga debellata. «Tutto questo - conclude la signora Dell'Utri - per una condanna che di fatto è stata sconfessata dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo». Strasburgo ha infatti preso in esame il reato per cui è stato condannato Dell'Utri, il concorso esterno, e ha stabilito che l'Italia non dovrebbe dichiarare la colpevolezza di un imputato per fatti anteriori al 1994, perché fino a quella data la giurisprudenza sul tema era assai ondivaga e controversa. «Strasburgo - chiarisce l'avvocato Giuseppe Di Peri - ha preso in esame e accolto il ricorso di Contrada, ma possiamo dire che le due storie sono sovrapponibili, perché si contesta lo stesso reato nello stesso arco di tempo. In quel periodo il concorso esterno era assai nebuloso e determinati comportamenti di fatto non venivano sanzionati. Quindi la condanna va contro i principi della civiltà giuridica, ma i giudici italiani non ne vogliono sapere e almeno fino a oggi non hanno rimesso in discussione quei verdetti».

La battaglia sul piano legale va avanti ma la partita decisiva, ora, si gioca in un letto d'ospedale.

Commenti