Il governo ha - o cerca - un nuova maggioranza illiberale a sinistra e fra i giustizialisti. Così il ministro Andrea Orlando rivede il suo testo di riforma della giustizia e vi introduce il reato del falso in bilancio perseguibile d'ufficio e non soltanto da chi è danneggiato, per tutte le società; e non solo, come ora, per i fatti commessi da quelle quotate in un mercato finanziario. In ossequio al principio che le società in quanto strutture capitalistiche sono potenzialmente soggetti criminogeni, si stabilirebbe che non c'è più alcuna soglia, alla punibilità con il carcere, in relazione alla modestia della percentuale di profitti coinvolti. Un cambiamento radicale che abroga interamente la riforma Berlusconi del 2001, che aveva fissato quattro paletti: primo, è perseguibile d'ufficio dai magistrati solo se si tratta di società quotate nei mercati finanziari. Secondo, il falso ha rilevanza penale solo se le falsità o omissioni alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo. Terzo, il falso, comunque, non è perseguibile penalmente se il risultato economico dell'esercizio è modificato meno del 5% e il patrimonio netto dell'1%. Quarto, si distinguono le valutazioni estimative da quelle riguardanti dati di fatto e si stabilisce che per le prime la punibilità c'è solo se, per ogni dato, vi è una variazione rispetto al vero superiore del 10%.
Questa riforma era ispirata a buon senso. Infatti se il reato riguarda potenzialmente qualche milione di società per tutte le poste del bilancio, occorre un esercito di poliziotti giudiziari per fare i controlli. Le aule di tribunale si intasano, i processi si allungano e scattano le prescrizioni. La giustizia diventa aleatoria, perché dipende dal fatto se l'iter del processo è lento o veloce. Chi è assolto dopo molti anni, nel frattempo, può avere perso la reputazione; l'azienda può esser andata in sfacelo. D'altra parte, nella scienza economica e contabile non esiste il concetto di bilancio aziendale vero in sé. Prendiamo gli ammortamenti. Come si fa a stabilire che è corretta la quota annua accantonata, dato che c'è il progresso tecnologico e che i prezzi variano? Se il magazzino di prodotti petroliferi è stato stimato 1 milione e i prezzi dimezzano in sei mesi, lo si doveva stimare mezzo milione? E se si è fatta questa stima, ma poi i prezzi sono scesi solo del 30%, si sono ingannati i soci o si è stati prudenti? Per le spese di esercizio c'è ampia materia per opinare che le spese telefoniche del dirigente vanno considerate un costo oppure no. Le importazioni da società partecipate di semilavorati che non hanno un prezzo di mercato come si valutano? Il fisco vuole bilanci in cui si evitano le sopra valutazioni dei costi e le sotto valutazioni dei ricavi.
Ma le regole contabili internazionali si ispirano al criterio del bilancio prudenziale in cui non si debbono sopravvalutare i ricavi, né sottovalutare i costi e rischi e in cui si deve essere attenti agli effetti negativi sul patrimonio di valutazioni ottimistiche del valore delle merci nel magazzino e di ammortamenti all'osso, che fanno emergere bilanci rosei. Chi è che imbroglia l'azionista? Ai pm può essere comodo cominciare i processi a presunti truffatori, camorristi, corrotti o corruttori, accusando le loro società di falso in bilancio, perché così si fa meno fatica che a scavare nel vero reato, realmente pericoloso, di cui le scritture contabili manipolate sono spesso solo un indizio. Bisogna cercare la testa, non la coda. Bisogna distinguere i normali imprenditori e dirigenti, che lavorano e sudano per far quadrare il bilancio dai potenziali criminali.
Trasformare tutte le scelte dell'economia in atti da considerare alla luce del diritto penale è molto pericoloso. Già se ne vanno dall'Italia le sedi legali delle grandi imprese. Vogliamo mandar via anche le piccole e medie?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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