Così la politica ha abbassato la guardia

A Milano i 5 anni di retorica buonista di Pisapia hanno sradicato sicurezza e controlli

Il sindaco Giuliano Pisapia accorso al tribunale di Milano
Il sindaco Giuliano Pisapia accorso al tribunale di Milano

Il 26 marzo del 2007 cinquantamila persone scesero in piazza a Milano per chiedere più sicurezza al governo Prodi. Una fiaccolata organizzata da Letizia Moratti, sindaco da meno di un anno, a cui parteciparono in massa commercianti, comitati, amministratori di altri Comuni lombardi e italiani. A fianco della giunta di centrodestra c'era anche il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, che dichiarò «illegittimo uno Stato che non protegge». La Moratti chiedeva 500 agenti in più per Milano, e tra l'annuncio e il corteo Prodi si affrettò a inviare almeno i 60 che servivano ad aprire due nuovi commissariati. Il 3o maggio del 2011, cambiano i protagonisti. Sul palco di piazza Duomo, il leader di Sel Nichi Vendola festeggia la vittoria al ballottaggio di Giuliano Pisapia e invita la folla della sinistra che sventola bandiere arcobaleno e arancioni ad «abbracciare i nostri fratelli rom e musulmani». É l'inizio della retorica buonista a Milano. Nel primo mese a Palazzo Marino, Pisapia «congeda» 450 militari (prontamente arruolati dai sindaci di centrodestra) inviati dall'ex ministro alla Difesa La Russa nell'ambito del progetto «Strade sicure». «Milano non è Beirut» sostengono i colonnelli locali di Sel. E le camionette spariscono da un giorno all'altro da 34 zone sensibili come via Padova, viale Monza, l'area della stazione Centrale. Non cambia linea neanche quando il ghanese Adam Kabobo, nel 2013, uccide a colpi di piccone tre persone per strada al Niguarda, quartiere prima presidiato dai soldati.

Pisapia organizza laboratori e feste multiculturali per «favorire l'integrazione in via Padova», ma sulla strada che porta dritto a Sesto San Giovanni le gang latine si ammazzano anche in pieno giorno. Quasi a fine mandato si vanta di aver lanciato «un segnale forte» accogliendo oltre 84mila profughi in due anni. Ma le maglie larghe nei controlli hanno fatto sì che il terrorismo islamico a Milano e in Lombardia si estendesse e radicasse. Nel clima di paura (e di fronte alle firme raccolte dai cittadini), almeno il sindaco Beppe Sala appena insediato non ha avuto il coraggio di portare a termine il bando con cui Pisapia aveva offerto agli islamici due aree pubbliche per costruire le prime moschee a Milano. Un bando che la Regione Lombardia aveva osteggiato anche approvando dei vincoli urbanistici più serrati. Una legge contestata dalla sinistra, e d'altra parte proprio nella «roccaforte rossa» di Sesto è in costruzione una moschea da 2.400 metri quadrati, una «Mecca» alle porte di Milano, vicino al punto in cui ieri notte è stato ucciso il terrorista tunisino Anis Amri.

Sala nei primi 6 mesi di mandato ha raccolto parecchi degli spunti offerti dallo sfidante del centrodestra Stefano Parisi in campagna elettorale. Intanto ha richiamato a Milano i soldati dopo la sparatoria del 12 novembre, un sudamericano ucciso in piazzale Loreto all'ora dell'aperitivo. Ieri ha firmato in prefettura un Patto per la sicurezza sul «modello Moratti», 650mila euro alle forze dell'ordine per rafforzare la presenza sul territorio. E ha arruolato l'ex pm antiterrorismo Stefano Dambruoso per fare corsi contro il radicalismo islamico ai vigili. É una corsa contro il tempo (perso).

Pierfrancesco Majorino, assessore Pd al Welfare con Pisapia e ora con Sala, di recente ha ammesso che in un giorno Milano «accoglie 3.600 profughi, e la metà sno una zona grigia», clandestini o respinti altrove. Ce n'è voluto.

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