Arriva la sentenza mortale sul reddito di cittadinanza

I percettori del reddito grillino non hanno mai trovato un lavoro, i navigator sono stati assunti inutilmente e ora a pagare lo scotto del fallimento della misura sono i Comuni, già in crisi economica

Arriva la sentenza mortale sul reddito di cittadinanza

È uno degli effetti collaterali più sottaciuti e meno discussi del Reddito di Cittadinanza che, oltre a collezionare fallimenti come misura in sé, si sta traducendo sempre più in una bega da gestire per i Comuni. Come dimostrano i Progetti utili alla collettività (PUC).

Gli aiuti che avrebbero dovuto "abolire la povertà", è bene ricordarlo, nascono con lo scopo di erogare un sostegno temporaneo a cittadini in cerca di occupazione (o almeno in parte) i quali, grazie al supporto dei navigator e dei Centri per l'Impiego, dovrebbero trovare un lavoro, vero, nel giro di alcuni mesi, 18 mesi, rinnovabili fino a 36. I condizionali sono tutti d'obbligo, poiché, il Reddito grillino continua a inanellare tragicomici disastri. Dalla totale assenza di selezione dei profili con effettiva necessità che ha comportato l'erogazione di soldi pubblici a migliaia di persone che oltre a non averne diritto sono "già impegnate" in attività tutt'altro che legali (e di nuovi casi ne emergono con cadenza quasi quotidiana), ai misteriosi navigator pagati dalla collettività che sono diventati "pienamente operativi" con oltre un anno di ritardo, fino all'effettiva carenza di posti di lavoro che rendono di fatto impossibile collocare i percettori di reddito.

La pandemia non ha certo aiutato (anzi, durante l’emergenza Covid i percettori del RdC sono aumentati del 12%), vista l'emorragia occupazionale che sta colpendo centinaia di migliaia di attività e che per molti versi non potrà far altro che peggiorare. Ma che il Reddito di cittadinanza si stia rivelando un colossale, dispendioso e prevedibile fallimento lo certificano i numeri, con le sole 220mila tra offerte di lavoro e opportunità formative fornite dai navigator a fronte di circa 1,23 milioni di maggiorenni tenuti a rispettare il Patto per il Lavoro firmato con i Centri per l'Impiego. Già, perché ovviamente non tutti coloro che incassano l'assegno statale sono effettivamente "impiegabili", anche se di mansioni ne fioccassero. I firmatari del Patto, infatti, sono tutti i componenti maggiorenni delle famiglie percettrici che non siano già occupati e che non frequentino un corso di studio. Gli altri (come over 65, o persone con problemi di salute di varia natura, o genitori soli etc.) sono comunque inglobati nella misura pur non essendo impiegabili.

Per provare a negare la natura totalmente assistenziale ed elettorale del Reddito, durante il Governo Conte I è stata approvata una misura integrativa, quella dell'attivazione dei Progetti utili alla collettività, appunto, che sono a carattere comunale. Si tratta di iniziative "socialmente utili" da svolgere in favore della comunità come la pulizia dei parchi, o l'assistenza a persone fragili, o la sorveglianza nei pressi delle scuole, o il contributo al decoro urbano etc. I criteri per la realizzazione di questi progetti sono stati fissati dal Conte II (con decreto ministeriale 22 ottobre 2019), ma dopo un anno e mezzo su un totale di oltre 8mila Comuni italiani ne sono stati attivati in meno di 1500. A inizio del 2021 risultavano in fase di svolgimento meno di 5000 progetti, 3,5 in media a Comune tra quelli che li hanno avviati. Le persone impiegate sono una manciata: 5/6mila al massimo.

Ora i sindaci stanno dando via a una corsa contro il tempo per attivare più PUC possibile, ma è evidente che si tratti di un modo come un altro da parte del Ministero del Lavoro (oggi è Andrea Orlando, ma la genialata spetta a Luigi Di Maio) per scaricare le incombenze sugli enti locali. Perché per un Comune si tratta di un onere spaventoso, sotto diversi punti di vista: ideazione dei progetti, profilazione dei candidati, (altre) risorse da spendere in modo diretto o indiretto avvalendosi di cooperative, impiego di personale comunale che dovrebbe assistere direttamente alle attività e soprattutto riportare le eventuali criticità (infortuni, assenze, problematiche di varia natura).

Inoltre, se da un lato l'intento dei PUC sarebbe quello di offrire ai percettori del Reddito pentastellato la possibilità di potenziare le proprie capacità, professionali e umane, molti dei progetti che risultano attivi al momento consultando la piattaforma GePI sono praticamente equiparabili al volontariato, col piccolo particolare che a partecipare a progetti simili i Comuni possono già schierare: firmatari del "Patto per l’Inclusione Sociale", richiedenti asilo, membri del Servizio Civile Nazionale, ex percettori di ammortizzatori sociali, ex detenuti e cittadini ammessi a misure alternative alla detenzione.
Senza peraltro il contributo del Terzo settore, che il decreto ministeriale definisce "auspicabile", vista anche la natura dei progetti, ma al momento totalmente assente. Le organizzazioni per il sociale, difatti, sommano lo scetticismo per le collaborazioni con la pubblica amministratore, non fosse altro per via della montagna di burocrazie necessarie, alla percezione che le realtà impegnate socialmente possano essere considerate in modo del tutto strumentale.

Così, a doversi occupare di programmazione, raccordi con i nuclei familiari, predisposizione di bandi, stipula di convenzioni e assicurazioni, formazione, tutoraggio, acquisto dei dispositivi di protezione, predisposizione di schede e via di seguito restano i singoli assessori alle politiche sociali, caricati di attività che necessitano non solo di personale e fondi, ma che vanno spesso a sottrarre risorse ad altri compiti.

Il Reddito di cittadinanza quindi, oltre ad essere già costato 9 miliardi di euro, col tassametro che continua a correre, non sta affatto risolvendo il problema della disoccupazione né tantomeno quello della povertà. Perché i poveri aumentano, i posti di lavoro diminuiscono e tutto ciò che si sta creando è un esercito di nuovi lavoratori socialmente utili.

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