«Glielo dico in russo, così capisce meglio: tovarisch Salvini, glasnost, trasparenza per favore!». L'attacco frontale al leader leghista arriva al culmine del one-man show che ha visto protagonista ieri Matteo Renzi a Milano, al teatro dell'Elfo.
Al leader della Lega, Renzi chiede conto di «alto tradimento» perché, spiega, «non credo che la Lega abbia avuto quei 65 milioni. Ma gli uomini di Salvini i soldi li hanno chiesti, e a una potenza straniera: il Parlamento non può non discuterne».
Eppure è proprio Salvini l'uomo che potrebbe - involontariamente - realizzare la speranza renziana di tornare in sella al Pd. Altro che scissione e nuovo partito macroniano: mentre molti dei suoi continuano a premere per la rottura con la «ditta» zingarettiana, l'ex segretario ha nostalgia del Nazareno. E nei giorni scorsi, a un parlamentare che gli chiedeva se volesse «riprendersi il partito» ha risposto senza giri di parole: «Ci stiamo provando». Se nei prossimi mesi il centrodestra salviniano strappasse regioni «rosse» come Umbria e Calabria, ma soprattutto l'Emilia Romagna (preda ambitissima per la Lega, ma non facile vista la popolarità del governatore uscente Bonaccini), la crisi nel Pd precipiterebbe, e Renzi potrebbe tornare in gioco. Già del resto le voci critiche non mancano: ieri un padre nobile come Pierluigi Castagnetti rimproverava al Pd zingarettiano di non avere linea: «Spero che dall'Assemblea nazionale di sabato esca una linea che ci conduca da qualche parte».
Un malessere interno che Renzi cavalca, davanti all'affollata platea della assemblea milanese dei «comitati civici» da lui promossi (e in cui molti hanno visto il primo germoglio del nuovo partito renziano) sul tema delle fake news, che si è rapidamente trasformata in una sorta di happening della fronda all'attuale dirigenza Pd. Novità di rilievo: c'era anche il sindaco Beppe Sala, che dopo mesi di gelo ieri ha deciso di andare ad applaudire Renzi. Il quale non ci è andato leggero: se Salvini e Di Maio vanno avanti, spiega, è perché «a differenza nostra non hanno nessuno che fa polemica interna, mentre la nostra opposizione non contesta le loro politiche e non rivendica i risultati positivi dei nostri governi». Se il Pd ha perso pesantemente, alle scorse politiche, è anche perché «una parte dei nostri, autolesionisticamente, era troppo impegnata a riprendersi la Ditta e ad accusarci di non essere abbastanza di sinistra». E l'ansia di tornare alla guida, come capo dell'opposizione, trapela quando grida: «O torniamo a dettare noi l'agenda, o non vinceremo mai più. O torniamo dove eravamo nel 2016 (ossia a prima della caduta del suo governo, ndr) o vincerà sempre Salvini».
Renzi sa e spera di avere tempo per preparare la rivincita contro Zingaretti, con gruppi parlamentari ancora vicini a lui: «Abbiamo probabilmente anni davanti prima del voto, la maggioranza non vuol perdere il potere», spiega ai suoi. E guarda all'autunno: lancia una nuova Leopolda ad ottobre, proprio alla vigilia del fatidico voto regionale: «Servirà a raccontare l'Italia che verrà», assicura. Con lui al centro, sottinteso.
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