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Così sul 41 bis Scalfaro si piegò alle richieste dei carcerati e cacciò Amato

La sentenza Stato-mafia riscrive anche questo pezzo di storia. DI Maggio nominato per controllare da vicino Mani Pulite

Così sul 41 bis Scalfaro si piegò alle richieste dei carcerati e cacciò Amato

Un ruolo diretto di Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, per accogliere le richieste che venivano dal mondo delle carceri. E non solo. L'intervento diretto del Capo dello Stato per utilizzare il mondo delle carceri per indirizzare l'inchiesta Mani Pulite, monitorando pentimenti e collaborazioni. È questo il capitolo più inquietante della sentenza della Corte d'Assise d'appello di Palermo sulla presunta trattativa Stato-Mafia. È la sentenza che ha assolto i generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, insieme all'ex senatore Marcello Dell'Utri. E che apre invece una finestra del tutto nuova su un periodo drammatico della storia recente d'Italia, la caduta della Prima Repubblica tra indagini giudiziarie e stragi di mafia.

Il teorema della Procura di Palermo diceva: tra le richieste di Cosa Nostra ai carabinieri c'era la cacciata dal vertice delle carceri del «duro» Niccolò Amato; quando Amato viene cacciato al Dap, il dipartimento penitenziario, arriva come «vice» l'ex pm milanese Francesco Di Maggio, messo lì da Mori per mantenere la promessa fatta alle cosche: la rimozione di boss e picciotti dall'elenco dei detenuti sottoposti al 41 bis, il carcere duro.
Non era vero niente, dice la nuova sentenza. La cacciata di Amato fu «fortemente voluta dal presidente Scalfaro». Il capo del Dap fu il «capro espiatorio», «si dava in pasto una vittima sacrificale e al contempo si apriva la strada a un mutamento della politica carceraria, più attento ai diritti dei detenuti che alla difesa della collettività». Era quanto da tempo chiedevano i boss. Perché Scalfaro impose la svolta, assumendo un «ruolo propulsivo»? La sentenza offre tre spiegazioni in parte convergenti. C'erano le pressioni che venivano dal mondo dei cappellani carcerari, «strettamente legati a Scalfaro». C'erano gli interventi di due monsignori, Fabbri e Curioni, «legati ai servizi segreti».

E c'era la pavidità personale del Presidente, cui era pervenuta una pesantissima lettera minatoria da parte di sedicenti parenti dei detenuti di Poggioreale, che aveva allarmato i responsabili della sicurezza del Quirinale. Per questo Scalfaro allontana Amato, nominando al suo porto «l'imbelle» Adalberto Capriotti. La sentenza analizza gli appunti privati del premier di allora, Carlo Azeglio Ciampi, e approda alla conclusione che, dietro le quinte, Ciampi stava con Scalfaro: «sintonia di intenti».

Fu dal Colle, e non dai carabinieri, che venne dunque il segnale di resa che l'ala stragista di Cosa Nostra si attendeva. Ma non è tutto. Perché, dopo aver messo Capriotti al posto di Amato, Scalfaro fa nominare come suo vice Di Maggio. Un mastino che non era affatto, sottolinea la sentenza di Palermo, l'uomo adatto a portare una linea morbida nelle carceri. No, l'incarico di Di Maggio era un altro. Proseguire il lavoro che già nel '92 gli aveva affidato Scalfaro: trattare con il pool Mani Pulite, trovare una «soluzione soddisfacente» per Tangentopoli, grazie ai suoi rapporti con la Procura milanese dove aveva lavorato a lungo.

Un incarico impensabile e illegale, che apre interrogativi sul rapporto sotterraneo tra il Colle e il pool (che della tutela del Quirinale si fece in quei mesi ampio scudo). Controllare le carceri serviva a tenere d'occhio il comportamento dei politici arrestati. Il teste Salvatore Cirignotta riassume così lo scopo dell'operazione: «Dopo i fatti di Mani Pulite si era posto il problema della possibilità di gestire i pentiti che erano in carcere, al fine della tutela o del danneggiamento, ora non so dire, della classe politica esistente». Scrivono i giudici di Palermo: «Dava garanzie di affidabilità che un personaggio del genere di Di Maggio fosse al vertice de Dap perché la gestione dei pentiti in carcere ed anche il trattamento detentivo cui erano sottoposti i soggetti coinvolti nell'inchiesta Mani Pulite stavano a cuore sia a Scalfaro che a Parisi (il capo della polizia, ndr)».

Altro che trattativa: questa è la storia su cui sarebbe appassionante capire qualcosa.

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