Un terrorista palestinese in fuga per l'Italia. È arrivato con un barcone, come migliaia di clandestini. È passato come tutti per i centri di prima e seconda accoglienza. Come molti altri si è dileguato nei giorni scorsi. La polizia ha fatto in tempo ad interrogarlo e ha sequestrato le foto conservate nel suo cellulare. Immagini inquietanti e drammatiche: l'uomo è in mimetica e imbraccia un Kalashnikov. Ma gli elementi raccolti non sono stati sufficiente per spezzare la catena burocratica: oggi la massa dei migranti - 135 mila sbarchi nel 2014 - sfugge di fatto ai controlli rigorosi, le leggi sono inefficaci e non vengono rispettate. I numeri sono troppo alti per poter gestire l'emergenza sbarchi. E lo stesso meccanismo perverso si è messo in moto con il palestinese la cui identità è a oggi ignota.
L'uomo è arrivato qualche settimana fa sulle coste della Sicilia. Era su un'imbarcazione, stipata fino all'inverosimile di disperati alla ricerca di una chance sul lato «buono» del Mediterraneo. Come capita ai tanti profughi in arrivo dal Medio Oriente, anche lui ha provato ad ingannare chi lo interrogava: «Sono siriano», le sue parole. I siriani infatti scappano da un paese devastato dalla guerra civile e per questo non vengono etichettati come clandestini. Dunque non sono soggetti alla procedura standard: espulsione e, almeno in teoria, ritorno in patria. No, per loro scatta la trafila che porta all'asilo per ragioni umanitarie. Insomma, hanno una corsia preferenziale. La spiegazione però non ha convinto le autorità. Prima un mediatore culturale, poi le forze dell'ordine. «C'era qualcosa che non tornava - racconta al Giornale un poliziotto in prima linea in Sicilia - aveva una barba folta, un classico degli estremisti islamici». Non solo: un investigatore ha notato un dettaglio decisivo: un grosso callo sulla mano destra. «Quel callo - afferma l'agente - ha una sola origine possibile: la familiarità con i mitra e i fucili». Insomma, c'erano tutti i presupposti per lanciare l'allarme e andare a fondo.
I poliziotti hanno fatto il loro dovere, e pure qualcosa in più, e hanno interrogato scrupolosamente il fantomatico siriano: dopo una lunga deposizione l'uomo ha ammesso di aver militato in uno dei tanti gruppi della guerriglia palestinese. Quale? A quale fazione apparterrebbe il misterioso clandestino? Mistero. I controlli sul passaporto hanno ingarbugliato la questione. Si è capito che i dati erano stati alterati e si è arrivati alla conclusione che fosse palestinese. Ma niente di più.
Purtroppo con i flussi indiavolati degli sbarchi non c'è modo di andare tanto per il sottile. La routine è stata rispettata pedissequamente anche questa volta: qualche giorno in un centro di prima accoglienza, poi il trasferimento in un centro di seconda accoglienza. A Comiso. La distinzione non è solo nominale. Nei centri di prima accoglienza i controlli sono strettissimi, la sorveglianza è alta, le fughe quasi impossibili. Nei centri di seconda accoglienza è tutta un'altra musica: si tratta di strutture permeabili, come si dice in gergo: in sostanza chi vuole se ne va. E pure in fretta. Il palestinese la cui identità non era stata ancora accertata ha pensato bene di togliere il disturbo. Nessuno ha provato a bloccarlo. Impossibile. È sparito poche ore dopo il suo arrivo a Comiso e oggi nessuno sa dove sia. Anzi, per dirla, tutta, non si nemmeno il suo nome.
Naturalmente un'informativa è stata inviata dalla Sicilia a Roma, ma tutto questo non è servito, o comunque non è stato sufficiente, per predisporre controlli più stringenti. «Mancano gli strumenti legislativi - dicono al Giornale dalla polizia - mancano il tempo e gli uomini in divisa per fronteggiare la mole ingente degli sbarchi, manca tutto». In realtà una strada sarebbe stata praticabile: il fermo di polizia. Ma è anche vero che con ogni probabilità il provvedimento non sarebbe poi stato convalidato dalla magistratura che per bloccare un individuo vuole prove solide. Prove che in questa fase sarebbe stato impossibile fornire.
Così siamo al paradosso: l'Italia partecipa alla grande coalizione che dà la caccia ai tagliagole dell'Is, fra l'Iraq e la Siria, e nello stesso tempo cerca di snidare i fanatici col passaporto tricolore: una quarantina, secondo Repubblica . I jihadisti più pericolosi perchè mimetizzati dietro un'identità all'apparenza rassicurante. Ma intanto la stessa Italia non è in grado di bloccare chi arriva sulle nostre spiagge portandosi dietro un passato non proprio immacolato. Un passato che forse non è finito. Perchè nessuno sa se questo palestinese abbia troncato i fili che lo legavano ai gruppi oltranzisti di Gaza e quali siano le sue intenzioni. Forse si tratta di un miliziano di Hamas ma potrebbe anche appartenere alla galassia delle formazioni che ritengono Hamas un movimento troppo moderato. E non si può escludere che sia arrivato in Italia per organizzare un attentato contro un obiettivo ebraico. «Siamo completamente al buio - confessa un investigatore - e siamo frustrati: abbiamo fiutato il pericolo, ma siamo stati costretti a liberare questo signore pur sapendo che presto sarebbe svanito nel nulla». Cosa puntualmente accaduta. Polizia e carabineri si chiedono ora quanti siano i guerriglieri scortati a terra dalle navi di Mare nostrum. E liberi di scorrazzare nel nostro Paese.
E intanto in Francia gli 007 incassano una clamorosa figuraccia: annunciano l'arresto di tre jihadisti di ritorno dalla Siria attraverso la Turchia. Tra loro il cognato del «killer di Tolosa», Mohamed Merah. Peccato che i tre siano sbarcati a Marsiglia mentre gli agenti li attendevano all'aeroporto parigino di Orly. L'arresto non è mai avvenuto.(1. continua)
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