Cuneo fiscale, flat tax o decontribuzione. Il dibattito estivo sulla legge di Bilancio 2020 - e con tutta probabilità lo scontro politico tra M5s e Lega dei prossimi mesi - ruota attorno a queste formule. Sono state presentate come alternative ma gli effetti possono essere molto simili o variare. «Tutto dipende da come questi tre istituti saranno declinati concretamente», spiega il professore Francesco Di Ciommo, ordinario di diritto privato e diritto bancario alla Luiss Guido Carli.
L'idea alla base della flat tax resta quella della aliquota unica applicata ai redditi delle famiglie o delle imprese. Idea attuata in diversi Paesi, anche in Europa, cara alla Lega di Matteo Salvini. Nella versione pura, un prelievo percentuale uguale per tutti, magari con una no tax area, rispetto alle altre ipotesi in campo avvantaggia tutti i redditi, compresi quelli medio alti.
L'anticipazione già varata dal governo prevede un'aliquota al 15% per i soli professionisti, ma c'è un tetto a 65mila euro. Sono, quindi, esclusi i redditi più alti. Se fosse applicata a tutte le categorie, anche se fosse applicata una soglia di reddito simile, «sarebbe la riforma più orizzontale», spiega Di Ciommo. Effetti generalizzati perché si sentirebbero su tutti i redditi.
Le altre formule hanno ambiti di applicazione più ridotti. Il taglio del cuneo fiscale, sponsorizzato soprattutto dal vicepremier e leader pentastellato Luigi Di Maio, incide «sulla differenza tra ciò che il lavoratore dipendente riceve in busta paga e quello che il datore paga».
Quindi avvantaggia solo chi ha un reddito da lavoro dipendente. Restano ad esempio fuori gli autonomi o chi ha redditi non da lavoro. Ma anche tra i lavoratori il legislatore può decidere di fare delle scelte. «La riduzione potrebbe ad esempio valere per tutti i contratti oppure solo per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Ma si può anche decidere di concentrare il beneficio sui lavoratori di una particolare area geografica».
Il taglio del cuneo fiscale può avvenire con una riduzione della fiscalità oppure con una riduzione dei contributi previdenziali. Anche le quote che il lavoratore paga all'Inps concorrono a determinare la differenza tra costo lordo e il reddito netto del lavoratore, quindi del cuneo fiscale.
«La decontribuzione è una misura che può favorire le aziende», spiega ancora Di Ciommo. Il legislatore potrebbe ad esempio decidere di esentare dal pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali le ore di straordinario oppure i premi di produzione. Starebbe al datore decidere come e quando utilizzare questo strumento «per fare aumentare la produttività o stimolare la crescita di alcuni settori».
Se invece dovesse essere una decontribuzione per tutti, gli effetti sarebbero simili a quelli di una riduzione del carico fiscale sul lavoro.
La decontribuzione è anche l'unica forma di taglio del costo del lavoro che potrebbe includere anche gli autonomi.A decidere su chi concentrare i benefici saranno scelte di tipo politico. Ma peseranno soprattutto le ragioni dei conti pubblici. Difficile finanziare benefici fiscali percepibili che valgano per tutti i contribuenti.
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