Cosa si nasconde dietro i tanti femminicidi

Soltanto nel mese di febbraio, 12 femminicidi. Negli ultimi giorni quelli balzati alla cronaca hanno suscitato scalpore. A Brescia la tragedia è finita con un omicidio-suicidio, mentre a Pozzuoli l'uomo che ha dato fuoco alla compagna, incinta della loro bambina, si è lanciato contro un guard rail, salvandosi. Non pareggia i conti la grazia che Francois Hollande ha concesso a Jacqueline Sauvage. La donna non dovrà scontare i dieci anni di prigione che la magistratura francese le aveva inflitto per l'omicidio del marito aguzzino. La vittima è lei e lui ha pagato con una pena di morte «fai da te» l'inferno in cui ha fatto vivere la sua famiglia per 47 anni. Perché invece di scappare o di denunciarlo anni prima, per le percosse e gli abusi sessuali ai danni delle loro figlie, gli ha sparato tre colpi di pistola? E' difficile credere che per Jacqueline, durante la lunghissima convivenza, non si sia mai creata l'occasione per fuggire dal suo carnefice in modo meno cruento. Per paura di stigmatizzare le vittime non si analizzano le ragioni che esasperano la situazione e portano al dramma finale. Tirarsi fuori da un legame patologico e che fa soffrire, per molte donne è più facile a dirsi che a farsi. Nella loro lunga dinamica Jacqueline non era una vittima accidentale completamente estranea alla loro vicenda. Ci sono coppie in cui la relazionalità si fonda su un'interdipendenza malata. Tutti gli esseri umani hanno il bisogno di stabilire legami di dipendenza con persone che diventano punti di riferimento. È una dipendenza fisiologica che si instaura nelle relazioni amorose. Si basa sulla nostra capacità di dipendere dall'altro e permettere all'altro di dipendere da noi. Con la giusta dose di autonomia per entrambi la coppia funziona grazie a un'accoglienza che non priva di spazio e non toglie il respiro. Questa capacità, relazionale e affettiva, s'impara nell'infanzia attraverso i legami con i genitori. Sono loro che devono insegnare al figlio ad avere fiducia in se stesso lasciandolo libero di esplorare da solo, e ad avere fiducia nell'altro permettendogli di tornare e di chiedere aiuto ogni volta che ne ha bisogno. Da un'educazione così s'impara la sicurezza, l'autostima e la regolazione affettiva in situazioni di conflitto e di stress. Se manca lo spazio vitale e il rispetto, se compare aggressività, si comprenderà da subito che stare da soli è meglio che mal accompagnati. A Jacqueline e altre donne sembra meglio essere mal accompagnate che sole. Manca la fiducia nella capacità di provvedere a se stesse. Sviluppano una dipendenza patologica nei confronti dell'altro e lasciarlo sembra loro un'impresa impossibile. I comportamenti di passività e sottomissione delle personalità dipendenti, in cui la rabbia e l'aggressività sono inibite anche di fronte ad eventi minacciosi per conservare la relazione, danno vita a un infausto circolo vizioso. Lei sopporta masochisticamente l'insopportabile pur di non perderlo e lui mostra una crescente ostilità che può degenerare in un pericoloso sadismo. Le donne dipendenti percepiscono la fine della relazione come perdita di sé e dell'unico punto di riferimento.

Allora negano il conflitto, si svalutano, idealizzano chi le sta facendo sprofondare nel baratro nella vana illusione che qualcosa cambierà. Al primo segnale d'aggressività, al primo insulto accompagnato dal ceffone che ferisce anche l'anima, l'unica via percorribile è la denuncia e la fine della relazione. Una frattura per tornare a vivere.

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