C'è una icona dietro i fermenti che agitano in Italia il mondo antagonista, la galassia di estremisti - soprattutto di area anarchica - che invoca «azioni dirette» contro la repressione di Stato: fermenti che, secondo i nostri apparati di sicurezza, non sono estranei all'attentato ad Atene contro il consigliere diplomatico Schlein. Questa icona si chiama Alfredo Cospito, ha 55 anni e sta chiuso in un carcere di massima sicurezza dopo avere detto e soprattutto fatto cose terribili: la peggiore di tutte, l'attentato alla scuola dei carabinieri di Cuneo, due bombe studiate per esplodere una poco dopo l'altra, vecchio schema dei terroristi. E d'altronde lui, Cospito, ama definirsi così: «terrorista anarchico».
A rendere Cospito un simbolo agli occhi dei suoi compagni di fede basta probabilmente quella affermazione, condita dalle altre che il rivoluzionario affidava alle interviste che rilasciava dalla cella prima di venire spostato al 41 bis, il carcere duro. Come quando rivendicava così l'attentato all'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi: «Occorre mettere in discussione l'assurda convinzione dell'inviolabilità assoluta della vita umana, anche di quella di coloro che in nome della scienza del progresso macinano massacri».
In carcere Cospito sta facendo lo sciopero della fame per ottenere la revoca del 41 bis. Al suo fianco, oltre ai bombaroli di Atene si stanno mobilitando nuclei antagonisti qua e là per l'Italia. Ma anche prestigiosi intellettuali di sinistra, secondo i quali tenere Cospito al carcere duro è una prevaricazione intollerabile. Così scende in campo Luigi Manconi, sociologo ed ex senatore, che al detenuto dedica un lungo e solidale articolo su Repubblica: «Cosa si prova a guardare un rettangolo di cielo solo attraverso una rete? Quali danni subisce un individuo che trascorre l'intera giornata all'interno di una stanza chiusa?». Gli fa eco sulla Stampa il filosofo Massimo Cacciari: «C'è da credere che l'accanimento contro gli anarchici esprima l'inconscia volontà di liberarci da un senso di colpa che ci affligge». E duecento avvocati hanno scritto una lettera perentoria ai direttori di tutti i giornali intimando loro di denunciare la persecuzione ai danni di Cospito.
La tesi di molti è che fuori dal carcere, nella società, non esiste una organizzazione pericolosamente eversiva con cui Cospito potrebbe mantenere i legami se il suo regime carcerario venisse allentato. Prima ancora che dall'attentato alla Schlein a smentire questa convinzione aveva provveduto la Procura di Torino, con il dettagliato documento con cui aveva candidato l'estremista al 41 bis. Ed appena un mese fa la Cassazione ha annullato il proscioglimento di Cospito dall'accusa di istigazione a delinquere da parte dei giudici di Perugia secondo cui «i suoi proclami evocavano effettivamente la necessità di scontro con lo Stato, ma in modo estremamente generico, in rapporto ad obiettivi meramente teorici come la distruzione delle città».
Secondo la Cassazione invece siamo davanti a «un obiettivo innalzamento del livello di potenziale lesività di una qualsiasi azione ricollegabile ai medesimi, perché, secondo le espressioni testuali impiegate, volti ad incitare alla commissione di condotte violente contro cose e persone e di attentati a personalità dello Stato quali forma di lotta ed azione politica».
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