Coronavirus

Covid, c'era un'alternativa al lockdown. Ma Conte ha ignorato il piano

Lo studio inviato a marzo al premier e a Speranza. L'ipotesi "Case finding and mobile tracing". E quel "fattore s" che boccia il "modello Italia"

Covid, c'era un'alternativa al lockdown. Ma Conte ha ignorato il piano

Esisteva un’alternativa al lockdown? Si potevano evitare le batoste inflitte all’economia e la crisi di interi settori? Con i “se” e con i “ma” non si fa la storia. Certo. Eppure qualcuno un’idea diversa ce l'aveva, frutto di un approfondito studio matematico. In poche parole: più tracciamento e meno chiusure indiscriminate, per evitare i decessi e salvare l'economia. Il suggerimento, firmato da sei autorevoli scienziati, è stato recapitato agli indirizzi di Giuseppe Conte e del ministro Speranza. Ma il governo lo ha sostanzialmente ignorato.

All'origine vi è un paper scientifico, che ilGiornale.it ha approfondito, firmato dai fisici Antonio Bianconi, Augusto Marcelli, Gaetano Campi e Andrea Perali. Studiando l’evoluzione dei casi di Covid-19 nelle prime fasi in Cina, Corea del Sud e Italia, lo scorso marzo gli studiosi hanno appurato che nel Belpaese l’epidemia si sarebbe potuta fermare in circa 20 giorni. Sarebbe bastato realizzare “test veloci, usando tecnologie di tracciamento dei contagi basata sui cellulari e isolando le persone contagiose dalle loro famiglie”. Un “sistema alternativo di contenimento”, ben diverso dal lockdown, che gli autori chiamano “Case finding and mobile tracing” (CFMT). E che avrebbe avuto molta più efficacia di tanti dpcm.

Per quantificare l'efficacia delle politiche di contenimento, i ricercatori hanno coniato - sulla base di calcoli complessi - un indicatore chiamato “fattore s”. Più basso è questo numero, migliore è la lotta alla pandemia. Va detto che in tutti e tre i Paesi i governi alla fine sono riusciti a frenare la corsa del virus. Nessuno lo mette in dubbio. Quello che la ricerca evidenzia è la “rapidità”, e dunque l’efficienza, delle misure adottate per “piegare” la curva dei contagi. I numeri parlano chiaro: la Cina si attesta a un valore pari a 9, la Corea del Sud a 5, mentre l’Italia è la peggiore con un “fattore s” a 31. Tradotto: la strategia coreana ha permesso di raggiungere l’obiettivo ben sei volte più rapidamente delle politiche messe in campo dal premier Conte. Il successo, dicono gli autori, deriva dal fatto che Seul ha subito “effettuato oltre 250mila test corrispondenti allo 0,5% circa della sua popolazione, identificando rapidamente un gran numero di infezioni asintomatiche che sono state messe in quarantena”. Il monitoraggio dei movimenti dei casi positivi, infatti, “è chiaramente correlato con l’arresto del tasso di crescita” dei contagi, mentre “il solo confinamento spaziale della popolazione”, come fatto dall’Italia, “non è sufficiente”. Più che un lockdown generale, quindi, servirebbero quarantene selettive e test mirati. Un modello che non solo può arrestare l'epidemia "in breve tempo (2τ = 14 giorni), come mostrato sia in Cina che in Corea", ma che può anche aiutare a "mantenere la diffusione dell'epidemia sotto la soglia, fermando così l'esplosione della crescita esponenziale come mostrato sia a Singapore che in Israele”.

Conte e Speranza con fasce Regioni

In Italia invece la politica sul contact tracing è stata piuttosto ballerina, come rivelato nel Libro nero del coronavirus (clicca qui). In principio il ministero prescriveva i tamponi col contagocce, poi il Veneto ha preso una via diversa, infine quasi tutti si sono convinti della bontà di tracciare i contagi. Ma in estate qualcosa è andato storto e in autunno il sistema è saltato del tutto. Un'occasione sprecata. “Questo studio - scrivevano infatti a marzo gli autori - suggerisce fortemente di estendere l'approccio del mobile tracking alle regioni italiane e ovunque nel mondo, in particolare quando il numero complessivo di persone contagiose è limitato e la diffusione del processo è nella fase pre-soglia (PTP) o nella fase di crescita vicino alla soglia”. L’Italia dopo l’estate si trovava insomma in una fase perfetta per applicare il modello "mobile", grazie al basso numero di infetti facilmente rintracciabili. Sarebbe stato necessario un uso più intelligente delle app di tracciamento (non come Immuni, diventata una barzelletta), un aumento massiccio dei test a tutti gli asintomatici (non le code ai drive in) e l'isolamento dei contagiati fuori dai contesti familiari per evitare cluster familiari e condominiali. Cosa è andato storto?

Per capirlo torniamo al 29 marzo. Come rivelato da Lettera150, quel giorno i quattro ricercatori, insieme ad Andrea Crisanti e Giampietro Ravagnan, inviano una lettera a Conte e Speranza per illustrare i risultati della ricerca. Le loro fatiche hanno prodotto un sistema alternativo al lockdown, utile non solo nel pieno della prima ondata ma anche per il futuro. E vogliono metterlo a disposizione. Sono anche disponibili a “fornire liberamente” il codice del programma sviluppato. Ma l'offerta viene ignorata. Perché?

Domani ne parleremo con Bianconi e Ravagnan in una diretta, online dalle 15 sul Giornale.it, promossa da Eureca e moderata dal presidente Angelo Polimeno Bottai. I due studiosi ci spiegheranno perché secondo loro il mobile tracing avrebbe non solo ridotto le vittime, ma anche preservato il sistema produttivo.

E magari proveremo a capire perché, nonostante quello studio, il Paese dopo un’estate di speranza ora si trova di nuovo sull’orlo del lockdown.

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