«La Crimea è ucraina». Così si chiude la breve dichiarazione del dipartimento di Stato in occasione del nono anniversario dell'invasione e dell'annessione russa, che «gli Stati Uniti non riconoscono e non riconosceranno mai». Parole, quelle pronunciate dal portavoce Ned Price, che non sono scontate, perché giungono in una fase del conflitto tra Kiev e Mosca nel quale, anche per Washington, parlare della riconquista della penisola occupata nel 2014 da Vladimir Putin non sembra essere più un tabù. «Ce la riprenderemo», promette Volodymyr Zelensky, mentre il consigliere del presidente ucraino, Mykhailo Podolyak, assicura che la liberazione della Crimea «sarà nei negoziati», che prima o poi metteranno la parola fine alla guerra.
L'ipotesi che sulla penisola torni a sventolare la bandiera ucraina è «impossibile», replica il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ma la sensazione, in questo momento, è che la volontà di Mosca conti relativamente, rispetto alla determinazione ucraina e ai rapporti di forza che si creeranno sul campo di battaglia, grazie agli aiuti Usa e occidentali. È possibile che i proclami su un'eventuale riconquista siano solo argomenti tattici, per disinnescare il piano di «pace» cinese, che punta a fotografare e congelare la situazione sul terreno, a tutto vantaggio della Russia.
«Se piace a Putin, non può essere un buon piano», è la posizione di Joe Biden, che ha già scartato sul nascere l'iniziativa di Pechino. E tuttavia, è evidente il cambio di passo rispetto a quanto veniva dichiarato appena tre mesi fa. Era metà novembre, quando il capo degli Stati Maggiori Riuniti Usa, il generale Mark Milley, spiegava che le probabilità che le forze ucraine liberino tutti i territori occupati, compresa la Crimea, «non sono alte militarmente». A meno che, aggiungeva, non ci sia un «collasso» dell'esercito russo. In quell'uscita pubblica, Milley sembrò voler «dettare la linea» all'Amministrazione Biden. Una posizione ripetuta recentemente, quando il generale ha ribadito che, a suo giudizio, «nessuno può vincere questa guerra». La Casa Bianca, galvanizzata dalla visita a sorpresa di Biden a Kiev e dalla trionfale accoglienza a Varsavia, sembra mantenersi al momento su una posizione mediana. «La questione critica ora è che gli ucraini riconquistino i territori a sud e a est», ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan alla Nbc. «Il destino della Crimea sarà deciso dagli ucraini», ha poi aggiunto. L'ipotesi, quindi, non è scartata a priori.
Del resto, dopo avere gettato tutto il proprio peso economico, diplomatico e militare sull'appoggio a Kiev, Joe Biden non può (e sembra non volere) tirarsi indietro. Il presidente sa bene che la sua rielezione nel 2024, dopo i miliardi spesi per l'Ucraina, si giocherà tanto sulle questioni interne, che sull'esito del conflitto. Una «pace alla cinese», prima ancora che inaccettabile per gli ucraini (anche se Zelensky, diplomaticamente, non ha chiuso la porta a Xi Jinping), sarebbe inaccettabile per gli Usa. Lo stesso vale per una pace che consentisse a Putin di riorganizzarsi e riprovarci tra qualche anno. La sconfitta della Russia, quel «collasso militare» di cui aveva parlato Milley, per la Casa Bianca potrebbe essere finalmente una strada percorribile.
Ne sono convinti ben sette ex generali Usa, da Wesley Clark a Tod Wolters, tutti ex comandanti delle forze Nato in Europa, che su Defense One hanno firmato un appello congiunto: «Gli Stati Uniti devono fare tutto il possibile per una vittoria dell'Ucraina».
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