Economia

La crisi dell'auto è colpa dei «gretini»

La crisi dell'auto è colpa dei «gretini»

Fantastica notizia ieri per Greta e seguaci (che detti propriamente potrebbero offendersi, per l'assonanza delle radici Greta e creta). Un bellissimo tonfo della produzione automotive lo scorso anno: meno 19% secondo l'Anfia, associazione delle industrie del settore.

Poteva andare anche peggio, meglio per Greta, se non era per il miracolo economico giallo-verde, ma accontentiamoci e godiamoci l'eccezionale risultato. Sicuramente applaudito dai giallorossi tifosi del green deal, la nuova e grandiosa ricetta di politica economica, e dai loro sindaci che fanno a gara a bloccare la circolazione delle macchine, anche di ultima generazione, nella vana illusione che possano diminuire l'inquinamento delle città. Ignorando, o fingendo di ignorare, che le auto ne sono responsabili per appena il 10% e che i riscaldamenti fanno cinque volte tanto. Da un sondaggio promosso da AgitaLab, un think tank sulla mobilità, emerge che, secondo gli esperti del settore, le amministrazioni farebbero meglio a lavare le strade e ad abbassare i riscaldamenti negli uffici pubblici e privati, piuttosto che fermare la circolazione con l'intento dichiarato di scoraggiare l'uso dell'auto.

Bene, visto che ci stanno riuscendo, esultino per il risultato industriale e, soprattutto, se lo ascrivano come effetto delle loro campagne ideologiche. Perché la follia non sta tanto nei provvedimenti, pure inutili, quanto nella convinzione che siano gratis, che fermare e danneggiare la vita dei cittadini, per giorni e giorni, non comporti alcun prezzo. Impedire alle persone di portare i figli a scuola e andare a lavorare o a spasso, facendo lavorare negozi e bar, una reazione la produce: diventa difficile entusiasmarsi per un'auto nuova sapendo che l'uso ne sarà inibito. Per qualcuno magari è la strada giusta, ma si sbaglia: si chiama «effetto Cuba». Finito il divieto, i cittadini continuano a girare con le macchine vecchie, meno sicure e più inquinanti, invece di sostituirle con le nuove, che sarebbero la vera soluzione.

Per equità, una parte di merito va agli esponenti dell'industria automobilistica, a cominciare da chi fa, o dovrebbe fare, informazione. Si prendano pure la meritata fetta di gloria, per non aver contrastato, bensì avallato, le crociate contro l'auto, status-symbol borghese mai veramente digerito. Salvo alcuni, tutti parlano di macchine ma non hanno il coraggio di sostenere, contro le facili mode, che l'ambiente debba sì essere tutelato e che tuttavia fermare le auto, e segnatamente le nuove, sfortunatamente non sia la soluzione.

Viviamo in un'epoca di cambiamenti veloci, che richiedono adattamento costante e generano un disagio diffuso quanto multiforme, al quale dobbiamo fare l'abitudine. Lo smarrimento rende le persone facili prede delle più svariate bufale, su qualsiasi tema offra loro un bersaglio contro cui sfogarsi. L'ancoraggio alla realtà è più fragile del filo con cui il bambino tiene il palloncino. Chi possiede l'informazione e chi per mestiere la diffonde, entrambi portano un fardello critico e pesante.

Non possono cedere al canto delle sirene, altrimenti l'intera barca perde la rotta.

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