Ma in fondo, dice Matteo Renzi, io e Conte siamo quasi amici. «Non ho nessun problema personale con lui, magari fosse cosi. Il problema è politico. Dal Recovery ai giovani, dalla sanità all'occupazione, ho messo nero su bianco le nostre riflessioni e adesso aspetto che si presenti al Senato, come ha promesso». Insomma, Giuseppe stai sereno, questa l'abbiamo già sentita. In realtà Renzi vorrebbe il suo scalpo, la prova della vittoria: basteranno il rimpasto e le numerose concessioni sul programma a placarlo? Il premier infatti non sta per niente sereno. C'è «accordo sui contenuti», spiega, perché ha mollato su tutto: piano europeo, cyber security, un po' di Mes. Manca l'intesa sulla procedura. Conte non si vuole dimettere e non si fida di «una crisi pilotata». «E se poi a metà delle consultazioni mette il veto sul mio nome? Quello mi vuole fare fuori». E, affannato, riprende la caccia disperata ai voti dei Responsabili, provocando un certo fastidio al Quirinale contrario a «maggioranze raccogliticce», e rischiando la fine di Romano Prodi.
La trattativa è tutta qui, tra le paure montanti del presidente del Consiglio e i reali obbiettivi del leader di Italia Viva, con Pd e Cinque Stelle che al momento non toccano palla e si limitano a chiedere prudenza. Super Mario resta sullo sfondo. «Draghi è una grandissima personalità - ripete Renzi da due giorni - ci ha dato consigli sul debito buono che dovremmo seguire, però a Palazzo Chigi ci va uno per volta e adesso c'è Conte». Parole che non rassicurano il premier, che per ora non ha cambiato l'agenda. Domani vuole presentare alle Camere il nuovo Recovery, riscritto come vogliono Iv e Pd, e tra il 10 e l'11 sbrigare la pratica istituzionale, con un rimpasto indolore. Una crisi lampo, su e giù dal Colle nel weekend con la soluzione pronta.
Ma il capo dello Stato che ne pensa? E a Renzi andrà bene il pacchetto confezionato, senza dimissioni? Per convincerlo, per mettergli un po' di pressione. Conte ha rimesso in moto l'operazione Responsabili. Secondo i calcoli di Casalino, bastano sei o otto voti al Senato per sostituire Italia Viva: alcuni potrebbe fornirglieli Cambiamo di Giuseppe Toti, che però si dichiara disposto a sostenere solo un governo di salute pubblica. Palazzo Chigi, dopo aver perlustrato tutta l'area centrista, ha contattato pure un paio di senatori Iv, ricevendo un secco no. La domanda è la solita: Matteo si spaventerà? Pare di no. Anzi, il secondo flop della campagna acquisti del premier lo ha ringalluzzito. «Provino con Lady Mastella...».
Più facile, almeno in teoria, l'accordo sul rimpasto, anche se Renzi dice «non vogliamo poltrone, anzi siamo pronti a lasciarle: se qualcuno immagina che abbiamo fatto questo casino per un ministero in più deve farsi vedere da uno bravo». Però sotto traccia il negoziato sulla squadra va avanti lo stesso perché, come spiega un vecchio leone del Palazzo come Pier Ferdinando Casini, «nomi e programmi vanno da sempre insieme».
In caso di una improbabile intesa, pare scontato che Iv avrà una maggiore visibilità. Non direttamente con il Rottamatore, che ha rinunciato alla Farnesina: troppo pesante da far digerire sotto il profilo dell'immagine e del resto Luigi Di Maio non vuole traslocare. Potrebbe entrare allora Maria Elena Boschi, che è in buoni rapporti con il premier e sta tenendo i fili della trattativa: per lei è pronto il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, in sostituzione di Paola De Micheli, ultimamente molto criticata. Stefano Patuanelli le lascerebbe il posto in cambio del Viminale. Oppure, secondo un altro schema, potrebbe toccare a Ettore Rosato, coordinatore di Italia Viva: potrebbe guidare la Difesa se il pd Lorenzo Guerini verrà promosso all'Interno. E in questo caso una delle ministre renziane, Teresa Bellanova o Elena Bonetti, lascerebbe il governo. Sempre per i Trasporti un altro nome che circola è quello del capogruppo del Pd Graziano Delrio. A forte rischio di conferma le grilline Nunzia Catalfo e Lucia Azzolina, in bilico pure Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro.
Chiaramente, più il ritocco è pesante, più Sergio Mattarella vorrà dire la sua, soprattutto sulla procedura e sul programma. E a questo proposito dal Colle si constata con molto stupore che un altro giorno è passato senza portare sostanziali novità, ne schiarite. La ormai famosa seconda bozza del Recovery non è mai arrivata in nessuna sede istituzionale e l'apposito consiglio dei ministri della Befana sarà sicuramente rimandato.
Altro che costruttori, mentre il virus corre, i vaccini scarseggiano e gli ospedali si riempiono, la politica si avvita nei soliti riti bizantini sempre più lontani dal «sentimento popolare» di cui il capo dello Stato ha parlato a Capodanno e «disconnessi con il Paese». Sta diventando una questione di capacità operativa del governo, di sottovalutazione totale della situazione e della doppia crisi che sta spegnendo l'Italia. Pure lassù la pazienza sta per finire.
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