La vittoria dell'antipolitica, rappresentata dal successo del Movimento Cinque Stelle, ha mandato in crisi la politica. Crisi di consenso ma soprattutto di finanze. Così, mentre crollano i voti calano anche le donazioni ai partiti, unico canale rimasto a questi ultimi per sopperire all'abolizione del finanziamento pubblico, entrata in vigore nel 2017.
E le casse languono: secondo i dati del rapporto Openpolis-Agi sui bilanci delle forze politiche tra il 2013 e il 2017, le entrate sono scese in media del 60% in cinque anni. Ma è l'andamento delle donazioni a raccontare lo scollamento di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Nel 2013, anno di elezioni, erano stati raccolti 38,45 milioni di euro da persone fisiche e 2,46 milioni da aziende e società. Poi, tra il 2014 e 2016, il tonfo: i contributi da persone fisiche sono calati del 38%, quelli da persone giuridiche del 67%. C'erano però ancora i trasferimenti statali, che nel 2013 avevano toccato i 91 milioni di euro.
Fondi a pioggia. Poi, la chiusura dei rubinetti entrata in vigore dal 2017, dopo che il sistema del finanziamento ai partiti è stato riformato due volte tra 2012 e 2014, dai governi Monti e Letta, che contavano sugli incentivi alle donazioni. Doveva toccare soprattutto al 2 per mille compensare il taglio. Invece, ha portato nei partiti appena 15 milioni di euro nel 2017, soglia ben lontana dalle cifre a cui erano abituate le forze politiche dai cordoni statali. L'erogazione delle agevolazioni infatti è volontaria, e pertanto non è mai riuscita a compensare il buco lasciato dallo stop al vecchio finanziamento: se i contribuenti non optano per nessuno, il loro 2 per mille resta allo Stato. Così per esempio il 2 per mille incassato dal Pd vale appena 8 milioni, un terzo di quanto offrivano ai dem i rimborsi nel 2013. Non resta che contare sul contributo dei parlamentari eletti: oltre al M5s, i cui membri d'ora in poi versano 300 euro al mese anche a Rousseau, nella Lega la quasi totalità delle donazioni è arrivata dai contributi degli eletti.
Senza dimenticare l'ultimo, il più cospicuo, canale di finanziamento che arriva dalle casse dello Stato e che ancora non è finito mirino degli anticasta. Infatti, se il vice premier Luigi Di Maio si era espresso in passato per abolire anche il 2 per mille ai partiti - il M5s non è un partito registrato e pertanto non accede al contributo - non una parola sui rimborsi che Camera e Senato riconoscono ai gruppi parlamentari.
Un tesoretto che vale 50 milioni di euro l'anno, suddiviso tra le varie forze a seconda del numero di eletti che le compongono. Il Movimento, con il boom del 4 marzo, ne è il primo beneficiario, con una torta da 17 milioni tra Montecitorio e Palazzo Madama.
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