Cultura e Spettacoli

La cultura della resa ci fa perdere l'anima

I nostri simboli vanno difesi: altro che vietare le mostre d'arte perché sono troppo cattoliche

La cultura della resa  ci fa perdere l'anima

Le guerre si combattono anzitutto sul fronte interno. Ecco sul fronte interno, anzi, di più, sul fronte intimo, quello della coscienza, siamo già impacchettati con il fiocco color nero islamico come gentile omaggio ai guerrieri di Allah. Da dove si capisce che non ci siamo proprio? Che siamo destinati, salvo una conversione ad U del cuore e della mente, a perdere? Dal fatto che non ci crediamo, a questa guerra. Non la vediamo proprio. Ci passa sotto il naso, vediamo il sangue sparso di nostri fratelli, e niente: reagiamo pensando che sarà esplosa una caldaia, un incidente, come quando cade un palazzo per i fuochi d'artificio a Torre Annunziata.Non è colpa del nemico, questa nostra sciagurata ignoranza. Che siamo in guerra loro ce lo stanno dicendo da 14 anni, com'è noto. Essere in guerra non è una decisione politica, ma un'evidenza. Invece combatterla è una scelta morale, culturale, politica. Ma se prima non si vuole vederla, si fa come don Ferrante con la peste, e se ne muore sostenendo che non esiste. L'Islam prima nella versione di Bin Laden e poi di Al Baghdadi ce la mette tutta per farcelo capire. Ci manda, per darci una mano ad afferrare il concetto, anche dei disegnini con la bandiera nera e la scritta «Allah è grande» su San Pietro e sulla Torre Eiffel. E invece c'è voluta un'ora, due ore, la notte scorsa perché nelle dirette televisive si avesse il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Sarebbe come se nel 1940 a Londra cadesse una V2 e ci si domandasse chi l'abbia tirata contro il popolo inglese.Stavo quasi per dare una martellata al video quando finalmente da Roma una collega di Antonio Di Bella, che faceva lo gnorri, ha letto un'agenzia dove si citavano dei testimoni che avevano udito gli assassini gridare «Allah Akbar». Questo dice la totale impreparazione dei nostri popoli e della cultura dominante a capire in che guai siamo.Non siamo più al tempo della strategia di Bin Laden e di Al Qaida. Quegli assassini operavano con tecniche micidiali, ma con l'obiettivo di umiliare l'Occidente colpendo dei simboli. Invece i jihadisti del nuovo tipo agiscono con tecniche militari da guerriglia urbana. In contemporanea si muovono con mitra e granate, per prendere possesso della vita quotidiana seminandovi vittime come in un sacrificio umano di una religione spaventosa. Una religione spaventosa che ha afferrato la testa di milioni di uomini.Osserviamo i recenti comportamenti europei. Settembre 2006. Papa Ratzinger a Ratisbona spiega che c'è nell'Islam la rinuncia alla ragione e alla libertà, per cui si teorizza il dare la guerra per imporre la fede. Chiede agli islamici di vera fede di prendere le distanze da questa impostazione fondamentalista. Chiede una resipiscenza. Risultato: viene messo sotto accusa prima dal New York Times, poi da numerosi ecclesiastici. Quindi gli islamici se ne accorgono e incendiano fantocci del Papa, uccidono una suora in Somalia. Si dà la colpa al Papa e al suo allarme. Negli anni seguenti la Corte europea dei dritti umani punisce l'Italia perché nelle scuole e nei tribunali si espone il crocifisso (decisione rientrata nel grado successivo di giudizio, la Grande Cambrì) per l'opposizione di un piccolo gruppo di Paesi: all'Italia si unirono la Russia, l'Armenia e pochi altri. Si susseguono in Consiglio d'Europa mozioni per mettere in guardia dall'islamofobia, non si interviene se non con parole formali per denunciare la persecuzione dei cristiani. Facciamo un salto fino a questi ultimi giorni. Si espone a Firenze la Crocifissione bianca di Marc Chagall. È un quadro di una bellezza che ferisce. C'è Gesù inchiodato ma ci sono anche gli ebrei perseguitati là sotto, è una bomba al quadrato. C'è dentro una profezia misteriosa. La persecuzione di cristiani ed ebrei si fa luce. Insopportabile per la identità debole che si vuole insegnare ai bambini. Così la scuola elementare Matteotti blocca la vista alla mostra per non offendere le famiglie islamiche.Nel frattempo il ministero dei Beni culturali offre il suo patrocinio a una mostra a Lucca dove l'opera d'arte sarebbe un crocifisso immerso nell'urina dell'autore. Una bestemmia autorizzata e premiata. Queste notizie incoraggiano chi ci vuole scannare. Documentano che non amiamo niente, neppure il Dio delle nostre madri e nonne (non dico nostro, dato che abbiamo smesso di voler bene a qualcosa che sia lontano dall'ombelico), e che dunque dopo due colpi ci arrenderemo.A riprova della cattiva coscienza degli organizzatori, il direttore della mostra proprio ieri ha pensato di ritirare il Piss Christ di Andrès Serrano dalla vista pubblica. Si chiama oicofobia, odio della nostra casa, di ciò che la rende unica, e che non sono i muri, ma l'odore di chi ci ha abitato prima di noi e di noi stessi. Questo suono di campane non fa vibrare più i ragazzi.Nella «guerra mondiale a pezzi» (Papa Francesco) non ci si difende a pezzi, e non si deve cercare una pace a pezzi, altrimenti ci fanno a pezzettini. Tra un attacco e l'altro la guerra continua e dev'essere una battaglia culturale. Che non significa digrignare i denti, ma ritrovare la sorgente della vita buona di cui abbiamo una qualche eco che ci rimbomba dentro, come una voce lontana nella mente di un vecchione.Vengono in mente gli abitanti di Aleppo (Siria) che vivono da anni la situazione dei parigini. Sono cristiani caldei, siri, armeni; musulmani che non cedono al Califfo. Chi resta cerca di costruire una solidarietà e un'amicizia che danno la forza di resistere. E trovano nella fede in Dio una strada per sconfiggere l'odio mortale di chi li vuole uccidere o sottomettere. Altri cercano la fuga dalla guerra venendo in Europa.

Ma noi dove possiamo fuggire? Noi dobbiamo lottare qui, credendo di più in quello che ci è stato insegnato quando eravamo piccoli e ci insegnavano che l'amore è più forte.

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