La lealtà che Boris Johnson ha deciso di dimostrare a Dominic Cummings ha un costo. La scelta del primo ministro di supportare il suo consigliere principale alla luce del suo viaggio a Nord dell'Inghilterra, verso la casa dei genitori, in violazione se non della lettera quantomeno dello spirito del blocco socio-economico che il governo ha imposto al Paese, sta presentando il conto.
Secondo il Telegraph e altri siti vicini al partito conservatore sono finora quasi 40 i parlamentari che hanno esplicitamente chiesto le dimissioni di Cummings. Jeremy Hunt, sconfitto da Johnson l'anno scorso nella corsa per la leadership del partito, ex ministro degli Esteri e presidente in carica della commissione salute, ha affermato di ritenere che il consigliere del premier ministro abbia infranto la legge. Ieri si è inoltre verificata la prima crepa nell'esecutivo, finora dimostratosi compatto nel sostegno a Cummings: il sottosegretario per la Scozia, Douglas Ross, ha rassegnato le dimissioni. Ha detto di aver voluto attendere il resoconto dei fatti fornito ieri sera: ha deciso che non poteva in «buona fede» dire agli elettori che le azioni del consigliere fossero giustificabili. La breccia di per sé non è grave, Ross non è un esponente di primo piano, ma aumenta il rischio che altri possano seguirlo e ingigantire l'emorragia. Questi tentativi di ammutinamento sono alimentati da rabbia e sconcerto diffusi nel Paese, sono moltissime le lettere di protesta ai giornali, gli interventi radio, le campagne social, le email inviate ai parlamentari dagli elettori, tutto racconta di un Regno Unito che in massa ha condannato Cummings: secondo un sondaggio di YouGov pubblicato ieri, il 71% degli inglesi ritiene che non abbia rispettato le regole, un'opinione condivisa dalla maggioranza degli elettori labour, lib-dem ma anche tory. Il 59% crede che debba lasciare il suo posto.
La sollevazione popolare è cross-partitica, secondo uno schema che accomuna anche media di orientamenti diversi. Posizioni contro Cummings non sono proprie solo di giornali di centro sinistra ma anche di testate da sempre vicine al mondo conservatore. Il Daily Mail, per citarne uno su tutti, ieri titolava «Nessuna scusa, nessuno pentimento», quasi lo stesso messaggio del Daily Mirror, tabloid di sinistra coautore assieme al Guardian dello scoop su Cummings. Da un punto di vista comunicativo, il bailamme mediatico sta inoltre oscurando alcuni messaggi governativi importanti, come la riapertura dei negozi non essenziali a partire dal 15 giugno. Un annuncio che avrebbe dovuto costituire un momento positivo per il governo, alla ricerca di qualche successo in un quadro complessivo sempre più grave, con i morti ufficiali che secondo le nuove cifre dell'ufficio di statistica hanno superato quota 47mila. Johnson ha perso 20 punti di gradimento, superato dal leader dell'opposizione Starmer.
Cosa succederà quindi? Nulla, a meno di un clamoroso terremoto nel mondo conservatore.
Johnson ha bisogno dello stratega Cummings per portare avanti la sua agenda, la scommessa del primo ministro si basa sui numeri e guarda al medio periodo: nonostante l'errore mediatico di non comunicare tutto subito, venerdì sera quando lo scoop è stato rivelato o al più sabato, per togliere ossigeno al fuoco, sa che fra qualche giorno la temperatura scenderà. E soprattutto si ricorda di avere una maggioranza di ben 80 parlamentari che lo mette al sicuro e gli garantisce che le prossime elezioni politiche si terranno nel 2024. Malagestione pandemica permettendo.
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