Il mondo è rimasto ieri con il fiato sospeso per un'ora ma poi ha emesso un cinico sospiro di sollievo: l'assassino era un ubriacone o un drogato, non un terrorista, chi è morto è morto, ma la vita collettiva può riprendere.
Times Square, la piazza delle piazze, visitata ogni giorno da quasi mezzo milione di persone, è stata colpita al cuore tre minuti prima di mezzogiorno quando un'auto lanciata alla massima velocità possibile in contromano ha falciato i passanti uccidendo una ragazza di 18 anni e mandandone all'ospedale una dozzina.
Il fatto dovrebbe essere lo stesso, l'auto che uccide, ma l'angoscia collettiva è diversa da quando i terroristi islamici hanno cominciato ad assassinare scagliando auto e camion contro gli innocenti a Tel Aviv, a Nizza, a Berlino e a Stoccolma. Da allora la nostra disperazione è diversa. Ieri abbiamo visto il mondo fermarsi con tutti gli schermi del pianeta bloccati a camera fissa su quella berlina rossa incastrata fra le colonnine d'acciaio che proteggono l'isola pedonale dai veicoli. Poi il cessato allarme: la tragedia era stata causata da un uomo con precedenti per ubriachezza, già ammanettato e portato via così come avevano portato via la vittima alla morgue e i feriti in ospedale. Poco prima dell'una dopo mezzogiorno l'America è tornata a seguire le grane di Donald Trump che si dichiara vittima della più grande caccia alle streghe della storia.
Non è la prima volta e non sarà l'ultima: il terrorismo miete successi dal sangue generato dalla follia e dal caso. Il suo scopo è rendere la nostra vita fragile, artigliata dalla paura e ci riesce anche quando non agisce: ci fa sentire tremanti e insicuri per strada, sui mezzi di trasporto, uscendo di scuola o andando al lavoro. È allora che l'ubriaco o il caso regalano l'attimo di felicità a coloro che hanno creato e nutrito le premesse del terrore. Per certificare che una tragedia sia registrata come un incidente occorre ormai aspettare il tempo necessario per dare un senso al sangue. È questa la terribile vittoria automatica di chi vuole annientare la nostra impercettibile felicità quotidiana, la serenità dei bambini che escono dalle scuole o degli impiegati che scendono in strada per aprire il lunch-box e fumare la sigaretta proibita. Times Square è la piazza per la quale al mondo sono stati spesi più soldi per separare gli esseri umani dalle macchine. È la piazza per cui sono state scritte più poesie, ambientati più romanzi e girati più film ed è diventata il cuore dell'umanità quasi per caso. Ieri quel cuore ha avuto un arresto per un incidente causato dall'ubriachezza, ma che ha assunto le forme ipotetiche del delitto contro la nostra fragilità riflessa nei vetri dei grattacieli. Ha agito il caso, ma resta un evento terroristico, nocivo come il fumo passivo: è la sensazione di non poter essere liberi di vivere, come era già accaduto al Weihnachtsmarkt, il mercatino di Natale berlinese dove rimasero sull'asfalto undici morti e quarantotto feriti.
O alla Promenade des Anglais di Nizza dove furono macellati 84 esseri umani nel giorno della festa nazionale. Times Square ha ripreso a pulsare. Ma il fantasma assassino seguita a minacciarci anche quando è il caso ad agire in sua vece.
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