Coronavirus

"Il Cura Italia di Conte dimentica noi medici Fase 2, sanità a rischio"

Il segretario dei dirigenti ospedalieri: "La salute dei camici bianchi continua a essere trascurata"

"Il Cura Italia di Conte dimentica noi medici Fase 2, sanità a rischio"

«Il Cura Italia non cura i medici». È la pesante accusa lanciata al governo dai medici ospedalieri. Carlo Palermo segretario nazionale Anaao Assomed, si dice preoccupato in vista della Fase2 per l'impatto che avrà sul servizio sanitario nazionale che in questo momento è sotto pressione per l'epidemia e dovrà poi fare i conti con tutte le altre emergenze travolte dal coronavirus. Nella lotta al Covid 19 gli operatori sanitari hanno pagato un prezzo altissimo. Sono oltre 20mila i contagiati e 150 le vittime tra i medici. E la momento non sono ancora state attivate tutte le tutele che i camici bianchi chiedono dall'inizio dell'epidemia.

Perchè il Cura Italia non cura i medici?

«In ospedale e nelle strutture sanitarie la sicurezza dei lavoratori non è stata una priorità e non lo è neppure nei provvedimenti del governo in arrivo. Sono mancati i dispositivi di protezione individuale adeguati, di fatto i medici erano disarmati. E tutt'ora mancano gli stoccaggi dei dip. In vista della riapertura occorre avere le scorte altrimenti si ripeterà lo stesso tragico scenario».

Che cosa chiedete?

«È scandaloso che per il personale non ci sia l'obbligo dell'isolamento in caso di esposizione non protetta a un positivo. Se un medico visita un paziente che poi si rivela positivo deve avere la possibilità di restare in isolamento per almeno 3 giorni e poi eseguire il tampone prima di tornare al lavoro. E se abita da solo può farlo in casa altrimenti deve essere garantito un luogo sicuro dove isolarsi. È un punto cruciale ed è uno dei motivi che hanno favorito la diffusione del coronavirus. Questo obbligo non è tutt'ora previsto. I provvedimenti del governo sono schizoidi: da un lato impongono misure di controllo e dall'altro ignorano elementi che favoriscono la diffusione del contagio».

Le nuove assunzioni previste sono sufficienti?

«No. Avevamo una carenza di circa 10mila unità tra medici e dirigenti sanitari alla quale non è ancora stata data una risposta. Ai medici poi sono stati offerti contratti da precari e per 5mila posti disponibili e alla fine si sono presentati e sono stati assunti solo in 4mila».

Fondi insufficienti?

«Le risorse non bastano neppure a pagare gli straordinari per medici impegnati in prima linea in queste settimane: centinaia di ore senza dormire e senza mangiare per fronteggiare l'emergenza. Ora li chiamano eroi ma noi chiediamo invece che venga loro riconosciuta un'indennità di rischio biologico, un riconoscimento concreto. Altro punto fondamentale è lo scudo giuridico: in questa fase di emergenza per far fronte allo tsunami dei contagiati abbiamo visto pediatri fare i geriatri: dobbiamo coprire il rischio professionale ».

È d'accordo con un'apertura omogenea su tutto il territorio?

«No: le condizioni di contagio sono molto differenziate: occorre guardare alla percentuale di incremento dei contagi settimanale: se è alta con la riapertura si rischia di favorire una ripresa dell'epidemia».

Giusto vietare la mobilità tra regioni?

«Sarebbe più opportuno limitare gli spostamenti in relazione alla diffusione del virus sul territorio meglio su base provinciale, individuando le aree più a rischio. Non ha senso proibire di spostarsi tra due regioni dove i contagi sono pochissimi mentre ci si può muovere all'interno di una regione tra zone con situazione epidemica molto diversa».

Ma i presidi territoriali, gli ospedali sono pronti?

«Mantenere gli ospedali Covid dedicati è indispensabile e per gestire il rischio di nuovi focolai occorre una riorganizzazione del territorio: la presenza dei presidi non è omogenea. E poi si dovranno anche affrontare le conseguenze dell'emergenza sulle altre patologie che in queste settimane sono state trascurate con gli ospedali travolti dallo tsunami Covid.

Mi aspetto liste di attesa di anni e purtroppo una mortalità più alta dovuta al fatto che le persone avevano paura di venire in ospedale».

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