Quanto può essere lunga una Galleria?
La Galleria, a Milano, è lunga 196,6 metri nel braccio più lungo, 105,1 in quello più corto, e 150 anni di storia, compiuti oggi. Auguri.
Il 13 settembre 1867 il Re inaugurò ufficialmente la Galleria che i cittadini gli regalarono, come recita la marmorea dedica sul fastigio dell'arco d'ingresso principale, a 32 metri d'altezza: «A Vittorio Emanuele II. I milanesi». Il mastodontico dono (un monumentale passage, di impianto cruciforme, da piazza Duomo alla Scala, 4mila mq di smalti e mosaici calpestabili, 353 tonnellate di acciaio, 7800 mq di vetri per la copertura, 39 metri di diametro della cupola, tre velocissimi anni di lavori) costò, all'epoca, 30 milioni di lire. Attualizzabili a circa 100 milioni di euro, oggi.
Oggi la Galleria è Milano. Ne è il suo centro ottagonale, il suo salotto di stucchi e ori - gold carpet e marble walkway - la sua memoria dalla prima manifestazione politica, settembre 1867, contro l'arresto di Giuseppe Garibaldi a Sinalunga, fino al sontuoso restyling di Expo2015 -, la location migliore possibile per il suo business, la sua personalissima vetrinizzazione del lusso made in Italy: dall'esedra neorinascimentale che si affaccia su piazza Scala, in senso orario ecco a voi: Gucci, Armani, Prada, Borsalino, Luisa Spagnoli, Tod's... Nella Galleria aperta ai quattro venti i milanesi, e molti turisti, adorano fare quattro passi. Vasche, pellicce, shopping e Camparino.
La vita di una città è fatta, anche, di simboli. La sua storia di icone: Zucca, Biffi, Savini, Centenari, Viganò, Motta. La borghesia nasce, pensa, produce attorno ai tavolini dei caffè. E a Milano sono tanti.
A Milano la piazza ha il Duomo al centro, il potere religioso. Palazzo Reale alla sua sinistra, il potere politico. E la Galleria alla sua destra, il potere economico. Ognuno urbanisticamente e simbolicamente al suo posto.
Il posto della Galleria fu scelto perché la piazza del Duomo, a metà Ottocento, era troppo affollata di edifici disordinati. La viabilità era tortuosa e intricata, ingestibile col crescente traffico cittadino. E serviva un passaggio che collegasse i due monumenti più importanti di Milano, il Duomo e la Scala. È l'epoca dei passage commerciali coperti, in ferro e vetro, che impreziosiscono le grandi capitali europee, da Parigi a Londra. È l'epoca dell'indipendenza dall'Austria, e bisogna festeggiare re Vittorio Emanuele di Savoia. È l'epoca della rivoluzione industriale e del trionfo della borghesia.
Bisognava ridefinire volto e ruolo della città di Milano nel mutato contesto politico-istituzionale della nuova Italia. La modernità stava infilandosi, sotto una meravigliosa luminosissima galleria, nel futuro. Il Novecento.
Serviva qualcosa che tenesse insieme le anime della città. Quella commerciale, quella artistica, quella sociale. E tra tutte le soluzioni proposte - tre concorsi banditi e centinaia di progetti in concorso - alla fine si scelse la scenografica idea dell'architetto Giuseppe Mengoni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, da 150 anni. Quando la Galleria fu completata - i lavori proseguirono fino al 1877 -, gli intellettuali, come sempre accade, la criticarono. Tanto che quando Mengoni morì precipitando da un'impalcatura durante un'ispezione, qualcuno parlò di suicidio per il dispiacere. Mentre la gente, i milanesi, ne decretarono il trionfo. Stucchi, botteghe, lampade a gas e mondanità. La Galleria diventò subito il centro della vita cittadina, e la gente vi si affollava «da tutte le parti, continuamente, secondo le circostanze e le ore della giornata», annotò Luigi Capuana, uno tra i tanti scrittori che da qui passò lasciando il suo ricordo, come Verga, come Giuseppe Marotta, come Mark Twain, come Thomas Hardy, come Emilio De Marchi, anno 1881: «Penso sempre che disgrazia sarebbe stata per noi milanesi, se invece di una Galleria, bella e magnifica come un salone, ci avessero edificata un'altra cosa, come sarebbe a dire una piramide o mettiamo pure anche un porto di mare...». Nel salone-salotto di Milano si sedettero per una cena o un caffè la Callas, Nureyev, il Principe Ranieri con Grace di Monaco, o Charlie Chaplin che, a proposito del risotto mantecato alla Savini, lasciò annotato: «Mai mangiato così bene».
Bene. Dentro e attorno alla Galleria si è affollata la storia di Milano, e d'Italia. Risse, fasci e dané. Filippo Tommaso Marinetti si ritrovava coi suoi compagni futuristi, come testimoniò su tela Umberto Boccioni. Gli interventisti sotto la sua cupola si azzuffarono con i neutralisti. Lungo i suoi bracci sfilarono le manifestazioni che sarebbero sfociate nelle adunate di Regime. La copertura e le decorazioni furono colpite dai bombardamenti degli Alleati - i «macellai» - nell'agosto del 1943 (e i danni restarono visibili fino al '55, per dare priorità alla ricostruzione della Scala). Ai tavolini dei suoi locali si sedette l'aristocrazia industriale dei Falck e dei Melzi d'Eril. Ai suoi caffè si accomodò la cultura, il teatro, la lirica della città. Il Savini ha visto passare le glorie della Scala e i pittoreschi personaggi del dopo-Scala, da Verdi a Toscanini. E Mondadori vi portava a pranzo i suoi autori, da D'Annunzio a Hemingway. Griffe, libri e zuppa Saint Julien. La libreria Rizzoli è stata da pochi anni completamente ristrutturata, la storica Garzanti non c'è più, e la libreria Bocca sopravvive con difficoltà. Voltiamo pagina.
La Milano bene e la Milano da bere. Nei meravigliosi anni Ottanta le giunte socialiste intesero la Galleria come un luogo di ritrovo per tutti i milanesi. Senza distinzione di master card. E aprì Burghy.
Ormai McDonald's è chiuso da un pezzo. Oggi la Galleria, visti gli affitti stratosferici, è d'élite. Next opening #craccoinGalleria. Per la festa dei 150 anni, stasera, la cena è soltanto per vip.... «Ci vediamo da Zucca?».
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