La signora seduta davanti l'avvocato: «Possiamo inserire una clausola sul nostro cane Toby? In caso di rottura, lo terrò io anche se l'ha comprato il mio convivente». Il signore: «Io vorrei precisare invece che nella nostra casa la suocera può essere invitata a cena una sola volta a mese». La signora: «Se ci lasciamo mi paghi per tre anni le vacanze ai Caraibi». Il signore: «E io mi tengo la casa visto che mi sono accollato tutto il mutuo».
I racconti degli avvocati che hanno steso i pochi contratti di convivenza esistenti in Italia (dieci a Torino Milano, sette a Bologna, tre a Genova, uno a Bari) sono più gustosi delle barzellette. Le coppie che decidono di mettere nero su bianco le regole per il buon vivere comune, a volte travalicano dalle cose che possono regolare per legge.
Ma siccome il nuovo proverbio è «patti chiari e convivenza lunga» è meglio abbondare: davanti a un avvocato e un notaio, gli impegni che si sottoscrivono, hanno un peso. E metterli in discussione un domani diventa una costosa perdita di tempo.
Ma cosa sono esattamente i contratti, o patti, di convivenza? La nuova figura giuridica è contenuta nel cinquantesimo comma della legge n. 76 del 2016 formata da un solo articolo (primato nella storia della Repubblica), quella che ha regolato le unioni civili. In quel comma si legge: «I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza» che per essere valido va redatto davanti ad un avvocato o a un notaio e trascritti all'Anagrafe civile entro dieci giorni (costo medio dell'intera operazione: dagli 800 euro in su). Dunque ci si può sbizzarrire. Non solo cane e suocera, ma si può prevedere chi ogni mese paga le bollette e chi il mutuo della casa. Chi va a prendere i figli a scuola e chi paga la domestica. Chi fa la spesa e chi la paga.
Sembrerebbe tutto chiaro. Ma l'avvocato Gian Ettore Gassani, matrimonialista di fama racconta: «Una signora ha dovuto sudare sette camicie ed andare in giudizio per recuperare i suoi mobili antichi e diversi quadri di valore ed evitare che andassero all'asta». Cosa era successo? «Il suo convivente era andato in fallimento e l'ufficiale giudiziario aveva pignorato i beni di valore, tra cui un pianoforte a coda, dalla casa in cui vivevano. Tutti beni che appartenevano alla donna prima della convivenza». Storie di ordinaria litigiosità che arrivano dopo i «Ti amo» della fase idilliaca del rapporto. Del resto, la gente che stipula i patti è spesso facoltosa, ha superato i quaranta e ha già alle spalle un matrimonio fallito. Ed è più consapevole dei propri diritti. «Il contratto di convivenza è come una macedonia, poi metterci dentro di tutto tranne cose offensive o lesive della libertà altrui. Tipo: tse mi lasci non ti puoi fidanzare nel mio quartiere».
Le coppie giovani, quelle che credono ancora nella coppia senza vincoli, snobbano questa formula così fredda e calcolatrice pensando che il loro amore non finirà mai. Eppure, anche tra chi si vuole bene, un po' di tutela non guasta. Per esempio, il contratto serve a chi vuole stabilire con chiarezza chi sarà il curatore del convivente in caso di inabilità o permette all'altro convivente di presentarsi in ospedale e decidere le ultime volontà del partner anche in tema di donazione di organi. Oppure, in casi estremi, viene legittimato a fare visite in carcere al pari di un coniuge. Certo, rimane il grande nodo delle successioni. Che non rientra nei contratti di convivenza. Ora si assiste al seguente paradosso: nelle unioni omosessuali si diventa erede mentre, nelle convivenze etero non hai nessun diritto.
Eppure ci sono un milione mezzo di coppie di fatto in Italia e poche centinaia di unioni civili. Esistono 88 mila separazioni che non si trasformano in divorzi per evitare di perdere i diritti mantenimento e di successione. Una situazione tanto falsa quanto opportunista. Per la miopia della legge.
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