Al Dibba messicano col sombrero, che vuol bloccare qualsiasi infrastruttura, replica, da sotto l'ombrellone della riviera romagnola, Matteo Salvini: altro che No-Tap e No-Tav, le grandi opere vanno fatte perché portano sviluppo.
Ma la ministra Barbara Lezzi (probabilmente chiusa a casa col condizionatore a palla, nel lodevole tentativo di alzare il Pil) non ci sta: lei il gasdotto non lo vuole. Fa venire i tumori e non ci si possono «stendere sopra gli asciugamani», ha già brillantemente spiegato in tv (smentita da ogni attendibile fonte medica e scientifica, ma fa niente).
Dietro il vivace e - per ora - composto scambio di opinioni traspare l'incompatibilità di fondo delle due anime della maggioranza su un tema cruciale per il governo e per il paese. Incompatibilità tenuta a bada a colpi di rinvii e commissioni di studio, ma che prima o poi, quando si tratterà finalmente di decidere, dovrà essere affrontata. Ha iniziato il balletto Alessandro Di Battista, che dal dorato esilio d'oltremare viene ogni tanto messo in moto dalla Casaleggio per strattonare il troppo influenzabile Di Maio: «Col No a quelle opere inutili ci abbiamo preso i voti», ricorda al vicepremier grillino, quindi erano «no sani» e redditizi, che vanno mantenuti.
Salvini però la pensa all'opposto del languido Dibba versione tropical: «Ci sono fior di tecnici e di docenti - spiega - che stanno valutando il rapporto costi-benefici. Dai nostri dati, sembra che i benefici superino i costi nel caso delle pedemontane, del terzo valico e del Tap, che ridurrebbe del 10% il costo dell'energia per tutti gli italiani». Quanto alla Tav, «aspetto i risultati degli studi. In linea di massima, culturalmente sono più per fare che per disfare. Se non fare la Tav ci costasse due o tre miliardi, è chiaro che andrebbe fatta», dice il ministro dell'Interno. Salta su il titolare delle Infrastrutture Toninelli, e liquida le dichiarazioni come «posizione personale di Salvini»: lui ha già annunciato che la Tav va fermata. Ma anche il Tap, si accoda la Lezzi, nelle cui capaci mani è affidato il Sud. Cui serve ben altro che un gasdotto, a suo illuminato parere: «Strade sicure, ferrovie, scuole, ricerca, università, bonifiche, anti-dissesto idrogeologico, energia pulita» e via elencando. Ma niente gas.
Peccato che il premier Conte abbia promesso a Trump che il Tap si farà: «Ma cambierà idea», secondo la Lezzi. Difficile però che la cambi Salvini, che i voti li prende dai ceti produttivi del Nord esasperati dal blocco perpetuo degli anti-sviluppisti: e le opposizioni non perdono l'occasione per sottolineare la frattura ideologica nel governo. «Ci aspettiamo che Salvini faccia sentire nel governo forte la voce dei tanti cittadini che ci hanno votato per realizzare un programma di crescita e di sviluppo», dice Mariastella Gelmini. «Finalmente Salvini dice una parola chiara sulle grandi opere.
Per la modernizzazione la Lega potrà contare sul sostegno di Forza Italia», aggiunge Mara Carfagna. Purché dica no ai grillini che «tra No Tap, No Tav, NoVax e via smontando si confermano dei veri Attila», dice Maurizio Gasparri.
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