Interni

Dall'idillio al grande gelo le vendette di "Giuseppi"

Finita l'alleanza giallo-verde, il capo grillino ha provato a impallinare quello che era il suo vice

Dall'idillio al grande gelo le vendette di "Giuseppi"

Giuseppe Conte contro Giuseppe Conte. Quella andata in scena ieri, durante la testimonianza del leader del M5s al processo Open Arms contro Matteo Salvini, è solo l'ultima puntata della soap opera in cui Conte prende le distanze da se stesso. «Scrissi due volte a Salvini, non ero d'accordo con lui», dice l'allora premier a proposito dei fatti accaduti ad agosto 2019. L'ex presidente del Consiglio si smarca ancora una volta dalle scelte di quello che allora era il vicepremier e ministro dell'Interno del suo governo. L'avvocato di Volturara si smentisce, fa l'equilibrista. Proprio come aveva fatto a gennaio del 2021, quando fu sentito dal Gip di Catania sul caso della nave Gregoretti, un'altra imbarcazione di immigrati trattenuta in mare dal primo esecutivo a guida Conte, a luglio del 2019. Secondo quanto riferito dai giudici dopo l'udienza di due anni fa, l'attuale capo dei Cinque Stelle anche all'epoca si era sfilato. «La coralità delle azioni di governo atteneva alla politica generale, i singoli eventi erano curati dai singoli ministri», il resoconto della deposizione di Conte sul caso Gregoretti. E se adesso l'ex premier si giustifica dicendo che ai tempi della Open Arms il governo gialloverde era già in piena crisi, la scusa non vale per ciò che successe il mese precedente. Eppure Conte si era tirato fuori pure da quella vicenda. Per quanto riguarda la Gregoretti, Salvini è stato prosciolto a maggio 2021. Ma il suo ex presidente del Consiglio ci aveva provato, a mandarlo alla sbarra.

Restano surreali le parole pronunciate dall'allora premier a fine 2019, quando l'avvocato prometteva di «verificare il suo ruolo» nel caso Gregoretti. Altra nave, altre alleanze, altra storia. Sulla vicenda della Diciotti - del tutto simile a quella della Gregoretti - a marzo 2019 il M5s di Conte e Luigi Di Maio fu decisivo per risparmiare l'incriminazione a Salvini.

Gli iscritti su Rousseau appoggiarono l'allora titolare del Viminale, i senatori grillini negarono l'autorizzazione a procedere. La differenza sostanziale, rispetto agli altri due casi, era che all'epoca dei fatti contestati (agosto 2018) Conte e Salvini andavano d'amore e d'accordo. Così come erano ancora alleati nei primi mesi del 2019, quando appunto i pentastellati decisero di difendere il segretario della Lega. La musica cambia nel 2020, con il Movimento passato al governo con il Pd. A febbraio e poi a luglio di tre anni fa i senatori dei Cinque Stelle mandarono a processo Salvini senza fare troppi complimenti. Diventato giallorosso, Conte non condivideva più la linea leghista sull'immigrazione.

E però è difficile dimenticare l'istantanea dell'avvocato del popolo italiano che, tutto sorridente, sventola un foglietto con la scritta «#decretosalvini sicurezza e immigrazione». Accanto a lui c'è un Salvini altrettanto soddisfatto, sono stati approvati i decreti sicurezza, siamo a fine settembre del 2018. Conte comincia a fare il pesce in barile con la fine dell'alleanza con la Lega. Nel famoso discorso dello strappo pronunciato al Senato ad agosto nel 2019, in 16 pagine di arringa contro Salvini l'avvocato non parla mai di immigrazione. Trascorsi due anni, Conte in un'intervista al Corriere della Sera arriva a dire che i decreti sicurezza «hanno messo per strada decine di migliaia di migranti». E ancora: «Salvini da ministro dell'Interno sull'immigrazione ha fallito».

Tutta colpa del Conte 1, secondo il Conte 2.

Commenti