Il sì ha vinto come indicato dai sondaggi, ma con un margine ampio che nessuno aveva previsto: 62 su cento. Soprattutto nella capitale Dublino e nelle principali città, ma non solo lì, tanto che in un solo collegio su 43 ha prevalso il «no». Così l'Irlanda diventa il primo Paese nel mondo a decidere per volontà diretta dei suoi cittadini, attraverso un referendum popolare che permette una riforma della Costituzione, che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale. E il quattordicesimo nell'Ue a dire sì ai matrimoni omosessuali.
Quello che più colpisce è che questa scelta, così netta e apparentemente destinata a fare da apripista ad altre simili in diversi Paesi occidentali, sia stata compiuta in un Paese la cui tradizione cattolica è nota e ancora fortemente radicata. Un Paese, l'Irlanda, in cui l'omosessualità era ancora punita come un reato da una legge dello Stato fino a poco più di vent'anni fa. Il primate cattolico Diarmuid Martin, che aveva rivolto un appello a votare «no» e a «salvare la famiglia tradizionale», ha ammesso che il voto rappresenta «una rivoluzione sociale» e ha aggiunto che la Chiesa «ora deve fare i conti con la realtà». Che si è manifestata ieri sera con una grande festa nel centro di Dublino.
Cosa succede dunque nella «cattolicissima Irlanda»? La prima risposta che si è portati a dare è che probabilmente quell'aggettivo al superlativo non sia più tanto corrispondente alla realtà di quel Paese. Un po' come la «cattolicissima Polonia», che per abitudine ai luoghi comuni si considera tuttora tale senza aver presente quale profonda rivoluzione nei costumi del Paese che espresse papa Wojtyla sia accaduta negli ultimi venti anni. Per non parlare della «cattolicissima Spagna», che tale non è più da un pezzo. Probabilmente la spinta a un cambiamento così radicale nel sentire di un popolo l'hanno data due fattori molto potenti: l'emergere di una giovane generazione molto meno tradizionalista e il profondo rinnovamento nella società irlandese provocato dall'ondata di immigrazione che ha fatto crescere la popolazione di un buon quarto in quindici anni. L'Irlanda, insomma, si è aperta al mondo con grande rapidità e questo può aver portato con sé anche nuove attitudini verso la religione e più in generale le tradizioni. A proposito di religione, altro fattore che ha certamente avuto peso nella scelta referendaria è la perdita di credibilità della Chiesa cattolica per l'emergere di numerosi scandali a sfondo sessuale: inchieste giornalistiche e processi hanno portato alla luce un desolante verminaio con abusi pedofili e non solo. Inevitabile che l'autorevolezza di quanti erano soliti puntare il dito contro l'immoralità degli omosessuali sia venuta meno, anche se questo non basta a spiegare un così deciso cambiamento di orientamento.
Mentre ci si interroga sulle ragioni profonde della svolta irlandese, i sostenitori delle cosiddette nozze gay esultano e fanno sentire la loro voce. Tra i primi, su Twitter, il premier lussemburghese Xavier Bettel, che di recente si è sposato con il suo compagno belga Gauthier Destenay con il quale già era legato dal 2010 da una unione civile: «Ho detto sì la settimana scorsa, l'Irlanda dice sì oggi», ha scritto Bettel.
In Italia i primi commenti mostrano una tipica frattura: entusiasmo a sinistra con Laura Boldrini in primis che cavalca l'onda: «Dall'Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l'Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti», ha detto la presidente della Camera, prevalenza di dichiarazioni critiche nel centrodestra.
La percentuale degli
irlandesi favorevoli alle nozze gay ha superato
il 60 per cento
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