C'è forse un fattore in più a tenere fermo Campo Dall'Orto sulla sua poltrona (sempre più incandescente): se lascia la Rai non avrà una buonuscita milionaria, come altri top manager di aziende pubbliche. Anzi, nessuna liquidazione, perché il suo è un contratto da amministratore, non da semplice dirigente con le tutele sindacali e le prestazioni aggiuntive in caso di chiusura anticipata del contratto. Data per imminente l'uscita del direttore generale Rai, un'ipotesi che circola è che Dall'Orto resti in Rai fino al 2018, data in cui termina il suo rapporto di lavoro, senza più l'incarico da dg ma senza il problema per il governo di trovargli una nuova collocazione.
Sarà questa l'indicazione del ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, azionista della tv pubblica, nel faccia a faccia con Dall'Orto? Dalla Rai è partita la richiesta formale di un incontro, ma dal Tesoro non è ancora arrivata la risposta, mentre oggi Dall'Orto sarà impegnato in Vigilanza Rai e venerdì ad Assisi con i frati francescani per parlare di servizio pubblico. «Non ho ancora visto la mia agenda e quindi non so quali appuntamenti sono fissati», risponde Padoan ai cronisti. Sulla carta, l'incontro con l'azionista riguarda i dossier delicati della Rai: la policy sul tetto stipendi, il contratto di servizio, i nuovi palinsesti. Ma ovviamente, servirà a risolvere il caso Dall'Orto. I suoi collaboratori fanno sapere che se Padoan gli chiedesse un passo indietro, si dimetterebbe subito. In assenza invece di una richiesta esplicita, il dg rifletterebbe sul da farsi, con la tentazione di mollare.
Interpellare il Tesoro è una prassi abbastanza irrituale. Il ministero dell'Economia ha potere di nomina del dg, ma non di revoca. L'unico organo che può togliere l'incarico al dg è il Consiglio d'amministrazione Rai, approvando in maggioranza una mozione di sfiducia. Anche questo uno scenario estremo, con un Dall'Orto barricato in Rai e il cda costretto a cacciarlo su pressione dei partiti. E quindi? Per Dall'Orto ogni giorno il clima si fa più pesante, mentre il collegio dei revisori Rai ha messo nero su bianco un «inquantificabile danno reputazionale» e «danni concreti per l'azienda» per la vicenda delle assunzioni esterne, e i sindacati Rai hanno indetto per l'8 giugno uno sciopero nazionale. Urge una soluzione, rapida.
«Il colloquio con Padoan è un passaggio obbligato, ma ormai l'aria è quella della fine di un ciclo» ragiona Arturo Diaconale, uno dei consiglieri che hanno silurato il piano editoriale di Dall'orto, di fatto sfiduciandolo. «Come fa a rimanere lì? Anche per se stesso dico, barricandosi si esporrebbe ad un logoramento che lo danneggerebbe». Il problema, però, è che di solito i cicli dei vertici Rai seguono i cicli delle legislature: nuovo governo, nuova Rai. Stavolta invece bisogna scegliere un nuovo dg, nel mezzo di una campagna elettorale, che sia disposto a starci pochi mesi e a sloggiare dopo le elezioni, magari anticipate in autunno. Per questo si rafforza l'idea di una soluzione interna, come quella di Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, senza escludere la carta Maggioni. Mentre il sottosegretario con delega sulla Rai Antonello Giacomelli è preoccupato «per l'assenza di ogni atto strategico nella gestione del dg Rai», il consigliere renziano Guelfo Guelfi non vuole un «dg tampone», «sarebbe un galleggiamento sul mare in tempesta». Dunque, un invito a tenersi Dall'Orto fino a scadenza.
Ipotesi che trova il sostegno del M5s. «Per noi Dall'Orto deve andare avanti» annuncia Di Maio, «se non va bene a Renzi vuol dire che avrà detto qualche no di troppo a chi pensa di poter utilizzare la Rai a propria immagine e somiglianza».
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