Si chiama Taiwan, ma da ieri è la Danzica del Pacifico. E al pari della città polacca rischia di trasformarsi nel focolaio di un conflitto incontrollabile tra Cina e Stati Uniti. Un conflitto che, come nel 1939 quando Parigi e Londra rinunciarono a fermare l'invasione tedesca della Polonia, rischia di venir innescato dalla riluttanza e dalla debolezza dell'America di Joe Biden. I fatti sembrano dimostrarlo. Ad agosto, due giorni dopo una conquista talebana di Kabul favorita dal rinunciatario ritiro americano Pechino lanciò le prime esercitazioni militari esplicitamente rivolte a verificare la fattibilità dell'invasione.
Manovre seguite ieri dalle dichiarazioni con cui il presidente Xi Jinping ha affermato di puntare all'annessione. Certo ci ha aggiunto l'aggettivo «pacifica», ma ha anche promesso una «brutta fine» a chi cercherà di fermarla. Nelle mosse e nelle aspirazioni di un presidente che ha fatto inserire il proprio pensiero nella Costituzione ed esige un rispetto ed una venerazione equivalenti a quelle riservate a Mao non vi è nulla di pacifico. La sorte degli oppositori di Hong Kong e del Tibet, la morte in detenzione del Nobel per la pace Liu Xia Bo e l'internamento di milioni di Uiguri, la minoranza musulmana dello Xinjiang, sono lì a dimostrarlo.
Anche perchè l'assoggettamento di Taiwan, al pari di quello di Hong Kong, del Tibet e dello Xinjiang, è uno degli argomenti cardine di una retorica presidenziale che invoca l'annessione dell'isola come uno passo indispensabile per «il ringiovanimento della nazione cinese». Certo da Mao in poi tutti i leader cinesi hanno evocato la restituzione di quel lembo secessionista e nazionalista alla madrepatria comunista. Ma la principale differenza tra Xi Jinping e i suoi predecessori è proprio il controllo di una macchina da guerra in grado di garantirne la realizzazione. Nell'ultimo decennio la spesa militare è cresciuta del 76 per cento raggiungendo nel 2020 la somma senza precedenti di 252 miliardi di dollari. Un crescendo voluto e diretto proprio da un Xi Jinping che prima di diventare presidente guidava la Commissione Militare Centrale. Quelle spese sono ancora un terzo rispetto ad bilancio militare Usa che supera i 778 miliardi, ma sono sufficienti a garantire la conquista quasi indolore di un'isola distante appena 150 chilometri dalle coste meridionali cinesi.
Anche perchè - stando alle stime del Pentagono - Taiwan non riuscirebbe a resistere i due o tre giorni indispensabili a garantire il trasferimento di una forza di difesa alleata. Stando alle simulazioni del Pentagono l'aviazione di Taiwan verrebbe distrutta nei primi minuti mentre i missili lanciati sulle basi americane circostanti ritarderebbero l'arrivo dei rinforzi. A quel punto l'unica opzione sarebbe la riconquista dell'isola.
Ma un presidente che ha regalato l'Afghanistan ai talebani sarebbe disposto a le vite di decine di migliaia di americane per restituire l'indipendenza a Taiwan? Soprattutto se la prima a scommettere sul «no» sarà la Cina di Xi Jinping.
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