Allora vale tutto. Hai voglia a pensare, o quantomeno sperare, che sia sempre il merito, quello sì, a fare la differenza, specialmente quando in ballo ci sono responsabilità (e denari) pubblici. Poi Daria Bignardi viene nominata direttore di Rai3 e tutti i bei pensieri si sbriciolano come quando anche l'onda più garbata del mare sfiora un castello di sabbia sulla riva.
Oddio, nessuno può negare che Bignardi abbia «fatto» tanta tv sin da Milano, Italia in onda oltre vent'anni fa su Rai3 chez Gad Lerner. Poi il Grande Fratello su Canale 5, Le Invasioni Barbariche su La7 e il suo clone L'era glaciale su Rai 2 e di nuovo le Invasioni su La7, che ora spariscono definitivamente per mancanza del padrone di casa con la «ragguardevole» media di ascolti del 3 per cento. Allora tre italiani su cento avevano la televisione accesa sulla Bignardi ma ora cento su cento ne dovranno pagare lo stipendio da direttore, si presume non proprio da metalmeccanico alla Cipputi. Insomma, tra fare un programma tv e gestire una rete tv c'è la stessa differenza che allontana un premier mai votato da uno che invece ha raccolto i consensi uno per uno: la mancanza di «sentimento popolare». In tutte le sue esperienze tv (ma anche editoriali) Bignardi ha solleticato e soddisfatto tutto tranne che il bisogno popolare di essere informato o intrattenuto sui temi concreti, talvolta poveri ma sempre reali, della vita quotidiana. Il suo è sempre stato un talk show d'élite, baciato dai social ma molto meno dall'Auditel, a conferma di quel crepaccio che drammaticamente separa tuttora l'intellighenzia dalla realtà.
E nella realtà di tutti i giorni di un direttore di rete c'è il confronto con il personale, la scelta della strategia di palinsesto e l'incontro con i manager dei nomi di punta del canale, generalmente scafati e implacabili specialisti della trattativa. Un contesto ambientale che è da «invasioni barbariche» ma nel vero senso della parola e non in quello più etereo e compiaciuto di un talk show con golosa vocazione all'endorsement. Ricordate quando Bignardi lanciò Monti intervistandolo con il cagnolino Empy in braccio? Ecco, le Invasioni erano quella roba lì. Poco male, in fondo sono salamelecchi e retroscena che all'uomo della strada interessano poco almeno finché non si trova a pagarne il conto. Perciò, anche al confronto dell'altra nomina in quota rosa, ossia quella di Ilaria Dallatana al vertice di Rai2, autentica macchina da guerra della tv con curriculum inattaccabile ed esperienze internazionali da far invidia a quasi tutti gli operatori del settore, quella di Bignardi sembra la sfida impossibile di una ricamatrice di abiti di nozze chiamata a confezionare divise per soldati al fronte. Senza parlare di tutte quelle, chiamiamole così, «aderenze ambientali» con Renzi che lei invitò alle Invasioni sentenziando poco dopo: «Mi sento un po' come Pippo Baudo, s'intuiva il desiderio di Renzi di cambiare le cose e ce l'ha fatta». Qualcuno disse che Bignardi aveva cucinato «le linguine alla Leopolda». E, tanto per capirci, al termine dell'intervista il marito della conduttrice, Luca Sofri, benedì l'allora solo segretario Pd con un misurato «Ciao capo, ottima, ottima...».
Insomma, non è esattamente la garanzia di equidistanza dalla politica che tutti si aspettavano nelle nomine dei vertici Rai. Ma è la conferma che spesso si cambia tutto per non cambiare proprio nulla. Specialmente a Rai3.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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