I suoi ex colleghi della Cassazione avevano provato a graziarlo almeno in parte, concedendogli un nuovo processo: ma anche il remake del giudizio d'appello vede Piercamillo Davigo condannato a un anno e tre mesi di carcere per tutte le accuse che gli venivano contestate. Ovvero, la divulgazione qua e là dei verbali sulla fantomatica loggia Ungheria, consegnati a Davigo dal pm milanese Paolo Storari, e di lì a poco divenuti di pubblico dominio.
Una brutta storia e una brutta condanna, che chiude nel modo meno glorioso la carriera del "Dottor Sottile" di Mani Pulite. Certo, manca ancora un passo: il nuovo ricorso in Cassazione, che il difensore di Davigo preannuncia (con buona pace del Davigo di una volta, che considerava appelli e ricorsi un ostacolo al rapido accertamento della verità). Ma le possibilità di non finire nel novero dei pregiudicati si fanno ormai piuttosto esigue per uno dei protagonisti dell'assalto a Tangentopoli.
Tutto, come è noto, nasce a margine dello scontro furibondo che lacera cinque anni fa la Procura di Milano, con il battagliero pm Storari convinto che i verbali del pentito Pietro Amara sulla presunta Loggia Ungheria (salotto buono dove si incrociavano a suo dire politici, magistrati, alti gradi delle forze di polizia) siano stati insabbiati dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale con l'appoggio dei vertici della Procura.
Storari si indigna, si scontra con i capi, e alla fine per impedire l'insabbiamento dei verbali ricorre a Davigo, allora membro del Consiglio superiore della magistratura, consegnandogli a mano una copia in formato word delle dichiarazioni del pentito. Davigo invece di rifiutarle le riceve, le porta a Roma, le fa vedere a politici e ad altri membri del Csm. Nei verbali viene indicato come membro della Loggia anche Sebastiano Ardita, già alleato e poi arcinemico in seno al Csm. E Ardita, convinto che il vero obiettivo dell'illustre collega fosse usare i verbali contro di lui, si è costituito parte civile nei suoi confronti,
Tutto questo agitarsi è stato spiegato in questi anni da Davigo in modo semplice: ero membro del Csm, in questa veste avevo diritto a ricevere quei verbali. Ma prima la procura di Brescia e poi i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che proprio l'alta cultura giuridica dii Davigo escluda che non si rendesse conto che non erano quelle le modalità legali per ricevere gli scottanti verbali. Mentre Storari veniva pure lui indagato, processato e assolto, Davigo era stato condannato sia per avere indotto il più giovane collega a consegnargli i verbali, sia per averli poi divulgati a Roma. La Cassazione, nel dicembre scorso, aveva confermato e resa definitiva la condanna solo per la prima imputazione, e annullato il secondo pezzo di condanna, ordinando un nuovo processo.
Ieri, basta una manciata di ore alla Corte d'appello di Brescia per confermare integralmente la condanna dell'illustre ex collega, responsabile di una "fuga di notizie senza precedenti", divulgando "notizie coperte da segreto investigativo", "pur consapevole di gettare una luce sinistra sull'operato della Procura di Milano", come avevano scritto i giudici bresciani già nel 2023.
Dopodiché, poco si capirebbe di questa storia se non si ricordasse la rabbia che in quei mesi Davigo covava per la decisione del Csm di estrometterlo dalla carica il giorno del suo settantesimo compleanno: il giorno della pensione.